Un vaso di pandora in cui ribollono conflittualità, rivendicazioni nazionali e religiose, dispute di confine. L’Europa è di nuovo il continente in cui le guerre non sono mai davvero mancate, e quando non erano conclamate erano fredde, latenti. La guerra di dieci anni nella ex Jugoslavia avrebbe dovuto metterci in guardia e invece il continente è ancora invischiato in situazioni di crisi in cui il fuoco cova sotto la cenere, riattizzato da Putin col suo sogno imperiale di Grande Russia.
FRONTI BOLLENTI
Per esempio, in Georgia, che ha già subìto due invasioni russe (nel 1993 e nel 2008), col risultato che Abkhazia e Ossezia del Sud rientrano ormai nella sfera d’influenza di Mosca, territori di fatto indipendenti che non riconoscono più il governo centrale di Tbilisi. Il confine è “illegale”, non stabilizzato, le provocazioni continue. Il rischio è quello di un corto circuito istituzionale tra la presidente filo-occidentale franco-georgiana, Salomé Zourabichvili, in sintonia con la popolazione, e il Parlamento che a maggioranza ha appena fatto passare una legge sugli “agenti stranieri” che ricalca quella con cui Putin ha stroncato i legami in Russia con think tank e organizzazioni occidentali. Lo stesso vale per la Moldova, in cui una fettuccia di territorio confinante con l’Ucraina, la Transnistria, è sotto il controllo dei militari russi e in odore di secessione, se non addirittura di guerra contro il Paese guidato da un’altra donna, Maia Sandu. Atomiche di Mosca sono state appena dislocate in siti bielorussi e da lì minacciano la Polonia, che a sua volta confina con l’enclave russa di Kaliningrad, con testate nucleari affacciate sul Baltico e puntate anche sulla confinante Lituania. In Lettonia, la più vasta minoranza russa dei Baltici costituisce un’altra spina nel fianco e una potenziale minaccia. E la Finlandia, appena entrata nella Nato per paura dell’Impero putiniano, ha dovuto blindare i suoi otto valichi lungo 1400 chilometri di confine con la Russia per paura di infiltrazioni attraverso i migranti.
MINACCE E RISCHI
Per non parlare dei sabotaggi e attentati ai cavi sottomarini dei corridoi energetici nelle acque svedesi e danesi. C’è poi il riflesso balcanico del confronto tra l’esercito russo e la Nato, tra Mosca e l’Occidente, nella Serbia ortodossa e storica alleata della Russia per affinità etnico-religiosa, che non ha rinunciato al Kosovo, indipendente ma non ancora riconosciuto da cinque Paesi europei. E dire che sia Belgrado che Prishtina ambiscono a entrare nella Ue. Il conflitto che ha prodotto un decennio di massacri jugoslavi è sottotraccia in Bosnia-Erzegovina, dove le tre entità serba, musulmana e cattolico-croata, non riescono ad amalgamarsi come ai tempi di Tito e rischiano di riprendere a combattersi. L’attentato al premier slovacco, Fico, dimostra che perfino nella piccola Slovacchia c’è una spaccatura, stavolta politica, e anche in questo caso non è secondario l’atteggiamento di Bratislava nei confronti di Putin. Fico si era avvicinato a Mosca, seguendo l’esempio di Victor Orbàn in Ungheria, additato da altri membri della Ue come pecora nera dell’Unione. Il Regno Unito, a sua volta, ha già portato a compimento la frattura della Brexit, anche se con qualche rimpianto. Infine, in Francia, Germania e Belgio crescono quartieri come le Banlieue, fuori controllo, come piccole città-Stato che rispondono a proprie leggi e regole. Lo scudo protettivo e, quindi, la stabilità geopolitica sono stati finora garantiti, in Europa, dallo Zio d’America. Ma Trump avverte che se gli europei non comprano più armi (americane), se eletto li abbandonerà in pasto ai russi. E Macron, a capo dell’unico Paese Ue dotato di atomica nazionale e non americana, fa balenare l’invio di truppe francesi e Nato in Ucraina. E così, per dirla con Foreign Affairs che cita i Beatles: è ancora possibile la pace in Europa?