SAN DONA' - È attorno al concetto di “oltre ogni ragionevole dubbio” che ruota la sentenza sulle violenze, vessazioni, botte e umiliazioni avvenute almeno tra il 2019 e il 2023 tra le mura della casa di riposo “Monumento ai Caduti” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia.
Le condanne assommano complessivamente a 23 anni di carcere, mentre il Pm che aveva coordinato le indagini, Andrea Petroni, ne aveva chiesti 38, ritenendo assodata l’aggravante della morte causata dalla condotta dei cinque operatori socio-sanitari finiti sul banco degli imputati. La sentenza è stata da poco depositata e sia il rappresentante dell’accusa che gli avvocati difensori e di parte civile la stanno analizzando in questi giorni. Anche per valutare un’eventuale impugnazione. Il pubblico ministero, rimasto contrariato per il mancato riconoscimento dell’aggravante, sembra orientato a farlo, ma il Codice di procedura penale consente all’accusa di ricorrere solo per Cassazione. La condanna più pesante, a 8 anni, è stata inflitta a Davide Barresi, 54 anni, già residente in provincia di Catania, attualmente detenuto, l’unico a cui venivano contestate, oltre ai maltrattamenti, anche le violenze sessuali ai danni di otto anziane ospiti. Il Pm ne aveva chiesti 12. Pene ridotte anche per gli altri due detenuti, Fabio Danieli, 47 anni, e Maria Grazia Badalamenti, 62 anni, entrambi di San Donà, condannati rispettivamente a 6 e 5 anni (l’accusa aveva chiesto 10 anni e 8 mesi e 8 anni e 8 mesi). Alle altre due imputate sandonatesi, Anna Pollazzon, 61, e Mergie Rosiglioni, 66 anni, entrambe agli arresti domiciliari, il giudice ha inflitto 2 anni e 4 mesi a testa (3 anni e 4 mesi). Due i capi di imputazione: i maltrattamenti aggravati e la violenza sessuale aggravata. Cominciamo dalla morte dell’anziana ospite.
“I periti - scrive il Gup - ricollegano la morte della signora a volte alle fratture del 2 febbraio, altre volte, più in generale, alle plurime fratture costali rinvenute sul corpo e di non certa datazione e quindi non attribuibili agli imputati”. Citando le parole del perito incaricato di dipanare la matassa, il giudice ha sostenuto che “non è possibile nemmeno per i periti stabilire quali tra le varie fratture riscontrate avrebbero condotto a quel “piano inclinato” verso la morte. Espressione, quest’ultima, che al di là di ogni altra considerazione evoca un concetto di probabilità, tipico del diritto civile, piuttosto che di ragionevole certezza, necessaria nel diritto penale... D’altro lato, ad avviso dei periti, le ingiurie e i maltrattamenti avrebbero creato un quadro di stress, che ha inciso sulla persona, debilitandola. Tuttavia, i periti non sono stati in grado di indicare gli elementi clinici ai quali ancorare tale valutazione di stress”.
Sulle violenze commesse da Barresi, provate da registrazioni anche video, il giudice non ha avuto dubbi sull’imputabilità dello stesso, visto che dalle difese erano state avanzate riserve sulla sua capacità di intendere e volere con richiesta di perizia, poi negata. “La richiesta - scrive sempre il Gup - non è supportata da alcun elemento di sostegno... Emergono con evidenza dalla visione delle immagini che l’imputato fosse estremamente attento e circospetto nel trovare il momento giusto per dare sfogo alle sue pulsioni, che erano quindi razionalizzabili e controllabili”.