Il tabù, questa volta, lo ha infranto direttamente Giancarlo Giorgetti. La scadenza del 2026 per completare le opere del Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza, non dovrebbe essere considerata tassativa.
IL PASSAGGIO
Anche perché l’incasso puntuale delle prossime rate, quest’anno ne dovranno essere pagate due per 22 miliardi, incide sul fabbisogno di cassa dello Stato e quindi sul deficit e sul debito.E proprio il dato del fabbisogno è quello di cui si è discusso ieri fino a tarda sera nelle riunioni preparatorie del Def, il documento di economia e finanza, che sarà approvato oggi dal consiglio dei ministri.
Si tratterà, come già anticipato, di un provvedimento “leggero”. Conterrà solo il quadro tendenziale, quello che non tiene conto delle misure che il governo introdurrà con la prossima manovra di Bilancio. La ragione, hanno confermato fonti di governo, è che in Europa sono cambiate le regole di bilancio. E quelle nuove introducono un altro strumento di programmazione al posto del Def, il Piano fiscale-strutturale di medio termine che a regime dovrà essere presentato alle autorità europee entro il 30 aprile. Per l’anno in corso sarà applicato un regime transitorio, che prevede la presentazione del Piano alla Commissione entro il 20 settembre. L’approvazione implica un processo che richiede il contributo di diverse istituzioni.
Queste nuove regole, tuttavia, non sono in vigore. Quindi, nella fase attuale in cui mancano ancora le indicazioni operative su come dovrà essere impostato il Piano, è stata concordata a livello europeo la possibilità di sospendere le vecchie procedure per evitare di svuotare l’atto politico di contenuto. Un processo lineare, sempre secondo fonti di governo, che si concluderà in tempo per la messa a punto della Legge di Bilancio per il 2025, senza nessun rischio di generare incertezze sui mercati.
Lo stesso Giorgetti ieri ha confermato che l’esecutivo terrà una linea «prudente» sui conti pubblici. I numeri saranno, ha detto ancora il ministro, «in linea con la Nadef». Un modo anche per allontanare le ipotesi di una manovra correttiva dei conti. La Nota di aggiornamento presentata a settembre dal governo aveva previsto una crescita dell’1,2 per cento quest’anno, con un deficit al 4,3 per cento e un debito al 140,1 per cento.Nelle tabelle esaminate fino a ieri la crescita era indicata leggermente in discesa, all’1 per cento (anche se c’è l’ipotesi di una limatura verso l’alto all’1,1 per cento). Il deficit dovrebbe essere confermato al 4,3 per cento, mentre il debito oscilla attorno al 140 per cento. Pesa l’effetto “trascinamento” del Superbonus. Ieri l’Enea ha diffuso i dati dell’incentivo aggiornati al 31 marzo scorso. Le detrazioni richieste hanno raggiunto i 117 miliardi di euro per una spesa complessiva di 122 miliardi. Quelle relative a lavori conclusi sono 111 miliardi. Significa che ci sono ancora 6 miliardi di lavori in corso, che quest’anno proseguiranno con la detrazione del 70%. Questo comporterà un impatto sui conti pubblici di almeno 4,2 miliardi.
LE PROSPETTIVE
Sarà quindi nel Piano fiscale strutturale, ha confermato Palazzo Chigi, che il governo fornirà tutti gli elementi utili alla costruzione della nuova manovra. Ma dei ragionamenti già si iniziano a fare. Il conto totale delle misure, compresa la conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35 mila euro e della riduzione a tre delle aliquote Irpef, partirebbe da 23 miliardi. Nelle trattative con l’Europa sul piano di rientro si punterebbe a spuntare uno spazio di circa 8 miliardi. Resterebbero dunque da finanziare altri 15 miliardi. Una cifra elevata, ma non inarrivabile. Ma da qui a settembre molta acqua ancora è destinata a passare sotto il ponte dei conti pubblici.