Dal sussidio universale ai minijob: così
Berlino ha vinto la disoccupazione

Martedì 2 Settembre 2014 di Giusy Franzese
Dal sussidio universale ai minijob: così Berlino ha vinto la disoccupazione
3
Da noi in continua ascesa. Da loro la direzione opposta. La disoccupazione in Italia negli anni della crisi è praticamente raddoppiata. In Germania nello stesso periodo si è dimezzata. Tra il 2007 e il 2013 il tasso di disoccupazione in Italia è passato dal 6,1% al 12,2%. E nel 2014 il trend non si è arrestato, a luglio eravamo al 12,6%.



La Germania è partita dall’8,7% del 2007 per arrivare al 5,3% nel 2013 e scendere ancora, al 4,9% nel luglio scorso, il più basso dell’Ue. Stavamo meglio di loro, ora stiamo molto peggio. Naturale che «il modello tedesco» diventi un’aspirazione. Ma come ha fatto la Germania a diventare così virtuosa nel mercato del lavoro? A un certo punto - correva l’anno 2003 - il governo di Berlino ha deciso di mettere mano profondamente alle regole del suo mercato del lavoro e del welfare. Lo ha fatto con quattro interventi successivi elaborati da Peter Hartz, ex consigliere di amministrazione della Volskswagen cooptato dal governo Schroeder.



Un pezzetto alla volta - passo dopo passo, direbbe Renzi - ha costruito un puzzle in cui la flessibilità delle forme contrattuali sia in entrata che in uscita, si sposa con un sistema di ammortizzatori sociali che dà una mano al disoccupato non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello della ricerca di un nuovo posto. Fanno parte del puzzle anche un dialogo sociale aperto, che prevede la partecipazione dei dipendenti alle scelte strategiche dell’azienda. E una valida alternanza scuola-lavoro. In sostanza si tratta di un sistema a tutto tondo, con tanti piccoli tasselli legati tra di loro da un filo indissolubile. Per questo motivo molti studiosi del «modello tedesco» avvertono: non si può fare come al supermercato, dove ognuno sceglie dallo scaffale il prodotto che più gradisce; affinché funzioni deve essere preso tutto insieme.



LA FLESSIBILITÀ

È possibile per l’Italia? Difficile. Basti pensare al sistema degli ammortizzatori: in Germania è davvero universale, il sostegno economico viene dato sia a chi perde il lavoro sia a chi semplicemente non lo trova. Nel primo caso c’è l’indennità di disoccupazione vera e propria che dura in media 12 mesi (60% dell’ultimo salario netto, 67% in presenza di figli a carico), nel secondo c’è un sussidio simile al salario di cittadinanza denominato ”sicurezza sociale di base“ che varia da 251 a 374 euro mensili ai quali si aggiungono aiuti economici per affitto, studio, riscaldamento, spesa alimentare. Un sistema costoso, che si regge sul fatto che lì i centri per l’impiego funzionano (c’è un’agenzia nazionale con molti più addetti e con molte più risorse rispetto a quanto spende l’Italia per le politiche attive). Si fonda anche sul cosiddetto ”principio di condizionalità“: chi riceve il sussidio deve seguire corsi di formazione e non può rifiutare l’offerta di lavoro. Nemmeno quelli socialmente utili, pagati appena 1 euro l’ora. Se rifiuta rischia di perdere una parte o addirittura l’intero sussidio. Il principio in teoria esiste anche da noi già da tempo, ma è inapplicato. Se ne parla anche nella delega chiesta dal governo Renzi, vedremo i decreti delegati. E poi la flessibilità contrattuale. Con i Minijob (piccoli lavori precari, sottopagati e senza contributi) la Germania riesce a impiegare circa cinque milioni di persone. Ma anche lì non sono poche le critiche di chi denuncia salari orari da fame, a volte perfino inferiori ai 2 euro l’ora.
Ultimo aggiornamento: 3 Settembre, 10:58

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci