Iraq, l'Isis voleva scambiare Foley con “Lady Al-Qaeda”. A Londra è caccia a John e alla cellula dei “Beatles”

Giovedì 21 Agosto 2014
Il giornalista americano ucciso dall'Isis James Foley
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Bisogna accelerare, bisogna usare i social media come strumento di antiterrorismo per comunicare con i giovani che sono tentati a partire. Usando linguaggio e mezzi cui sono in grado di rispondere.

Questa una delle strategie necessarie, secondo Lady Naville-Jones ex sottosegretario britannico per la sicurezza e l'antiterrorismo, nella caccia al boia con l'accento britannico e nel tentativo di allontanare l'incubo che a Londra torna a far paura: l'integralismo che colpisce "in casa".

Il boia di James Foley con l'accento londinese si farebbe chiamare John - un soprannome forse, come quelli dei presunti compagni, Paul e Ringo, detti "i Beatles"- che costituirebbero una cellula di britannici carcerieri di ostaggi stranieri in Siria. E non si esclude che sia uno dei tanti giovani partiti dal Regno Unito per combattere in Siria e Iraq poi finito a "lavorare" per l'Isis.

E alcuni di loro poi in patria ci tornano. Il primo ministro britannico David Cameron, che dopo una nuova riunione del comitato d'urgenza (Cobra) decide di tornare in vacanza ma rimanendo in stretto contatto con Downing Street, non ritiene necessario introdurre misure d'urgenza, ma l'allarme resta alto e le forze di sicurezza sono mobilitate per implementare quanto e nelle loro capacità.

Quindi controlli a tappeto, monitoraggio serrato del web e c'è chi propone anche il ritiro del passaporto in caso di sospetti, come sarebbe già accaduto in alcune limitate occasioni. «È necessaria una risposta dura, paziente e risoluta. Ci vorrà del tempo», emerge da fonti governative.

Si calcola che potrebbero essere fino a 250 i cittadini britannici rientrati in patria dalla Siria dopo aver combattuto con l'Isis, mentre sarebbero tra i 400 e 500 quelli che rimangono ancora in Iraq e Siria. Ad oggi sono 69 le persone sospettate di legami con attività jihadiste in Siria che sono state arrestate in Gran Bretagna.

L'ex ostaggio francese: «Foley trattato peggio perché americano». James Foley durante il sequestro in Siria ha subito un trattamento più duro da parte dei suoi carcerieri perchè era di nazionalità statunitense. Lo spiega in un'intervista alla Bbc il giornalista francese Nicolas Henin prigioniero in Siria insieme con Foley, poi liberato lo scorso aprile.

«Abbiamo passato diversi mesi insieme in una situazione estrema, compresa una settimana in cui siamo stati ammanettati l'uno all'altro, notte e giorno», dice Henin che descrive la tempra di Foley, il modo in cui nonostante la situazione rimanesse generoso, condividendo tutto con gli altri ostaggi.

«In quelle circostanze si sviluppa un istinto di sopravvivenza - dice Henin - per cui si arraffa tutto quello che si può. Ma lui condivideva tutto con gli altri: coperte, cibo. Tutto». «Essendo americano - continua il giornalista francese - veniva probabilmente preso di mira di più dai carcerieri. Come una sorta di capro espiatorio».

L'Isis voleva scambiare Foley con Lady Al-Qaeda. La storia di James Foley si intreccia con quella di Aafia Siddiqui, la pakistana che sconta una condanna negli Usa a 86 anni di carcere e che la stampa americana ha chiamato "Lady al-Qaeda".

La storia di Aafia Siddiqui, in carcere in Texas, si è intrecciata in passato con molte altre "brutte" storie e, secondo alcuni osservatori, potrebbe indicare un possibile legame tra lo "Stato islamico dell'Iraq e del Levante" (Isil), il teatro iracheno e siriano e combattenti in precedenza attivi in Afghanistan e Pakistan. I rapitori di Foley, si legge sul New York Times, avevano chiesto in cambio della sua liberazione un riscatto di vari milioni di dollari.

«Ma gli Usa, a differenza di diversi Paesi europei che hanno fatto arrivare ai gruppi terroristici tanti milioni per risparmiare le vite dei loro cittadini, si sono rifiutati di pagare», scrive Rukmini Callimachi sul Nyt.

Secondo il giornale, l'Isil - che ha minacciato di uccidere Steven Sotloff, giornalista freelance che appare nel video diffuso due giorni fa con Foley - tratterrebbe in ostaggio oltre a tre americani anche cittadini britannici. E il gruppo avrebbe proposto, oltre al pagamento di un riscatto, anche lo "scambio di prigionieri" e la liberazione di Aafia Siddiqui.

"Lady al-Qaeda", 42 anni, è stata condannata negli Stati Uniti non per legami con al-Qaeda, ma per aver tentato -secondo l'accusa- di sparare ai militari statunitensi che la interrogavano dopo la sua cattura in Afghanistan nel luglio del 2008. La sua storia è per lo più avvolta nel mistero. Per alcuni è vittima di un complotto.

Il suo nome viene associato al carcere di Bagram, all'acquisto di diamanti in Liberia subito prima degli attacchi dell'11 settembre negli Usa e a quello di Khalid Sheikh Muhammad, uomo degli attentati del 2001. Di lei parlò anche l'ex leader dei Talebani del Pakistan (Ttp), Hakimullah Mehsud, ucciso nel novembre 2013, che accusò Islamabad di averla arrestata per poi consegnarla agli Usa.

Siddiqui, madre di tre figli, è un'ex studentessa del prestigioso Massachussetts Institute of Technology (Mit) con un dottorato in scienze neurologiche. Nel 2002 è rientrata in Pakistan per poi sparire con i figli nel marzo successivo, in seguito all'arresto di Khalid Sheikh Muhammad. In seconde nozze Siddiqui ha sposato un nipote della mente delle stragi negli Usa, Ammar al-Baluchi.

Nel 2004 la donna è stata inserita nella lista dell'Fbi dei più pericolosi collaboratori di al-Qaeda. Secondo i familiari della Siddiqui, la donna è stata detenuta per cinque anni -dal 2003- dalle forze Usa nel carcere di Bagram, in Afghanistan, dove avrebbe subito torture e abusi.3

Negli anni scorsi alla Siddiqui è stata associata anche alla storia del "Prigioniero 650", l'unica donna rinchiusa a Bagram secondo i racconti degli ex detenuti della prigione. Lei stessa durante un'udienza ha affermato di essere stata in una «prigione segreta».

L'anno scorso il gruppo che rivendicò il sequestro di centinaia di lavoratori algerini e stranieri nell'impianto di gas di In Amenas, nel sud-est algerino, aveva proposto uno scambio di ostaggi tra gli americani fatti prigionieri nel sito e Aafia Siddiqui. Per il governo pakistano quella di Aafia è una storia delicata.

Più volte in passato Islamabad ha chiesto l'estradizione della donna, che -al momento dell'arresto in Afghanistan- era stata trovata in possesso di materiali chimici sospetti. Secondo un esperto di terrorismo interpellato dal Telegraph la richiesta del suo rilascio collegata all'Isil potrebbe indicare che il gruppo, attivo tra l'Iraq e la Siria, conta su un "contingente di Talebani".

«Una spiegazione è che dal teatro afghano-pakistano si siano trasferiti in Iraq e Siria e che la loro causa faccia parte del loro bagaglio - ha commentato Michael Semple, esperto del movimento dei seguaci del mullah Omar ed ex rappresentante Ue a Kabul - La spiegazione strategica è che è una buona causa perché lei è una donna che soffre. L'Isil tenta di mobilitare i popoli con la condanna della percepita oppressione per mano dell'Occidente ai danni dei Paesi islamici».

Ultimo aggiornamento: 22 Agosto, 09:29

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