Garlasco, Alberto Stasi condannato a 16 anni. La mamma di Chiara: «Non abbiamo mai mollato»

Giovedì 18 Dicembre 2014
Garlasco, Alberto Stasi condannato a 16 anni. La mamma di Chiara: «Non abbiamo mai mollato»
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MILANO - A oltre sette anni di distanza dall'omicidio di Chiara Poggi, i giudici di Milano hanno dato un nome al suo assassino e hanno condannato con rito abbreviato l'allora suo fidanzato Alberto Stasi a 16 anni di carcere senza riconoscergli l'aggravante della crudeltà ma nemmeno le attenuanti.

Inoltre hanno disposto un risarcimento di un milione di euro ai genitori e al fratello della giovane donna, uccisa la mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco.

Si è chiuso così il nuovo processo d'appello 'bis' nei confronti dell'ex studente bocconiano che esattamente 5 anni fa, il 17 dicembre 2009, aveva incassato la prima assoluzione confermata due anni dopo in secondo grado e poi cancellata dalla Cassazione.

La prima Corte d'Assise d'Appello, due togati (Barbara Bellerio presidente ed Enrico Scarlini a latere) e sei giudici popolari, dopo sette ore di camera di consiglio e un dibattimento dove non sono mancate le polemiche tra difesa e i legali di parte civile, hanno ritenuto Alberto colpevole, anche se è stata in sostanza dimezzata la richiesta dei 30 anni di carcere avanzata dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini.

Dallo scarno dispositivo letto nella maxi aula del palazzo di giustizia milanese, dove dallo scorso 9 aprile si sono celebrate le udienze a porte chiuse per via del rito scelto, e che per l'occasione è stata aperta ai giornalisti, si intuiscono alcune cose: non aver contestato l'aggravante della crudeltà non significa non ritenere che l'aggressore di Chiara abbia usato efferatezza mentre sulla mancata concessione delle attenuanti generiche dovrebbe aver pesato, spiegano negli ambienti giudiziari, il comportamento processuale di Stasi con omissioni e silenzi su una serie di elementi chiave per consentire la ricostruzione dei fatti.

Si tratta però di ipotesi perchè le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Quel che è certo invece che la Corte è partita dalla pena base di 24 anni e ha ridotto di un terzo, sconto previsto dall'abbreviato, ed è arrivata a 16 anni di carcere. Pena, che ha lasciato «sconvolto» l'ex studente bocconiano che stamattina, prima che i giudici si ritirassero per la decisione, prendendo la parola, ha ribadito: «Non cercate a tutti i costi un colpevole condannando un innocente. Sono anni che sono sottoposto a questa pressione. È accaduto a me e non ad altri. Perchè? Mi appello alle vostre coscienze: spero che mi assolviate».

Il verdetto di oggi (il quarto), è arrivato dopo che gli ermellini, nell'aprile 2013, hanno annullato la sentenza di assoluzione e rinviato gli atti a Milano a una nuova sezione della Corte d'Assise d'Appello ritenendo che occorresse una «valutazione complessiva e unitaria degli elementi acquisiti» e dunque una rilettura di tutti gli indizi, alcuni dei quali da approfondire con ulteriori accertamenti. Indizi che la Suprema Corte ha anche indicato: si va dalle impronte digitali di Alberto ritrovate sul dispenser del sapone in bagno dove l'assassino si è lavato le mani al fatto che Chiara, quella mattina, ha aperto la porta di casa a una persona che di certo conosceva bene.

Dall'assenza di alibi tra le 9.12 alle 9.35, la finestra di 23 minuti in cui è stata collocata la brutale aggressione, al Dna della vittima rintracciato su uno dei pedali della bici bordeaux Umberto-Dei Milano di Alberto. E ancora, dal fatto che, nonostante avesse detto di essere entrato nell'abitazione dei Poggi e di aver scoperto il cadavere, non si fosse macchiato di sangue le suole delle scarpe e l'aver omesso di raccontare agli inquirenti di possedere una bici nera da donna dopo che due testimoni avevano raccontato di averne vista una appoggiata alla muro della villetta di via Pascoli nell'immediatezza del delitto.

Con questi paletti la Corte, oltre al sequestro della bicicletta nera da donna nella disponibilità degli Stasi, ha disposto altri accertamenti: tra questi, forse, quello chiave è stato l'esame sperimentale della cosiddetta camminata di Alberto esteso, però, anche ai due gradini e alla zona antistante la scala dove giaceva il corpo senza vita della giovane donna. Esame, questo, con cui si è stabilito come sia impossibile che Stasi non si sia sporcato le scarpe e non abbia nemmeno lasciato una traccia ematica sul tappetino della sua Golf.

Oltre alle perizie degli esperti nominati dalla Corte, agli atti del dibattimento ci sono alcuni dei risultati dei supplementi istruttori con cui nei mesi scorsi il pg Barbaini ha colmato una serie di lacune, omissioni ed errori dell'inchiesta - come i graffi notati sul braccio di Alberto da due carabinieri di Garlasco e non fotografati e le impronte insanguinate di quattro dita dell'assassino sul pigiama della ragazza poi cancellate da chi ha rimosso il cadavere e delle quali sono rimaste solo alcune foto - e gli esiti di approfondimenti effettuati dai legali dei Poggi sulla bicicletta nera. I quali stasera hanno commentato: «Ci aspettavamo la verità per Chiara e oggi abbiamo avuto una risposta». Una risposta che ha fatto dire a mamma Rita «siamo soddisfatti, non abbiamo mai mollato». Ora si ritornerà in Cassazione.

LA MAMMA DI CHIARA Per oltre sette anni hanno cercato «la verità», ripetendo come un mantra che erano interessati soltanto a questo, e oggi per i genitori di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco nell'estate del 2007, quella «verità è arrivata» con la sentenza di condanna a 16 anni di carcere per Alberto Stasi, l'ex studente bocconiano e fidanzato della ragazza. «Non abbiamo mai mollato», ha detto la madre di Chiara, Rita Poggi, dopo il verdetto, prima di aggiungere con la voce rotta: «Ora guarderò Chiara e le dirò ce l'hai fatta!».

Subito dopo la lettura della sentenza dei giudici della Corte d'Assise d'appello di Milano, Rita Poggi ha abbracciato prima il legale di parte civile, l'avvocato Gian Luigi Tizzoni, e poi il cugino di Chiara e consulente informatico Paolo Reale. A fianco a lei c'era anche il fratello di Chiara, Marco Poggi, visibilmente commosso come il papà, Giuseppe Poggi, che non è riuscito a trattenere le lacrime.

La moglie, anche lei piangendo, ha spiegato ai cronisti che, mentre i giudici emettevano la sentenza di condanna, non ha mai guardato Alberto. «Non ho guardato nulla - ha raccontato - ho ascoltato e basta». Stasi, invece, è rimasto impietrito e ha lasciato velocemente e da un'uscita laterale l'aula e il Palazzo di Giustizia, accompagnato dai suoi legali. «Sono sconvolto», ha detto a chi gli stava vicino in quel momento, mentre qualche ora prima aveva provato a convincere la Corte della sua innocenza con poche parole, in sede di dichiarazioni spontanee.

Sono invece arrivati per lui 16 anni di carcere in attesa che il caso ritorni ancora in Cassazione, a cui la difesa farà ricorso. «Siamo soddisfatti, non abbiamo mai mollato», ha spiegato Rita Poggi ai cronisti, appena uscita dalla maxi-aula del Palazzo di Giustizia. «Volevamo la giustizia e dopo sette anni è arrivata», ha aggiunto la donna con gli occhi lucidi e con a fianco il marito Giuseppe, che ha voluto ringraziare i difensori di parte civile, gli avvocati Tizzoni e Francesco Compagna, e tutto il pool legale. «Chiara è diventata ormai - ha spiegato il padre di Chiara - anche la loro figlia, non solo la nostra». A chi poi gli ha chiesto cosa cambierà adesso per loro, Giuseppe Poggi ha risposto: «Non cambierà niente». La madre ha raccontato, però, che ora lei, assieme al marito, potrà guardare Chiara per dirle: «Ce l'hai fatta!'».

«Per noi è stata un'esperienza più che professionale umana - ha raccontato l'avvocato Tizzoni - abbiamo conosciuto una famiglia eccezionale e lavorato con persone incredibili». Il legale ha anche evidenziato il lavoro svolto dalla Procura Generale che «ha fatto un grande sforzo e questo è il risultato che noi avevamo atteso, ci interessava la verità per Chiara e oggi ci hanno dato una risposta». L'avvocato, infine, ha chiarito che «a noi l'entità della pena non interessava (il sostituto pg aveva chiesto 30 anni per Stasi, ndr), come non ci interessava il risarcimento economico, ma soltanto la verità».

Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 09:49

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