Appello per il figlio rapito in Libia
La mamma: «Il ministro vada laggiù»

Giovedì 21 Agosto 2014 di Nicola De Rossi
Gianluca Salviato
PADOVA - «Il ministro Mogherini vada anche in Libia a parlare di mio figlio». Con le attenzioni della diplomazia concentrate sulla situazione della Siria e dell'Iraq e sulla sorte degli italiani rapiti laggiù, rischia di passare in secondo piano quella, avvolta nel buio più fitto, di un altro ostaggio veneto sequestrato nell'altrettanto caldo fronte libico da ben 153 giorni: il quarantottenne Gianluca Salviato.



E l'anziana mamma, Gelsomina Bergamo, non nasconde il timore, con la relativa amarezza, che il suo caso venga dimenticato. Il tecnico impiantista di Trebaseleghe, nel Padovano, dove abita con la moglie Maria, ma originario di Martellago, nel Veneziano, dove risiedono gli anziani genitori, le due sorelle e il fratello, è in mano ai suoi ignoti rapitori (islamici?) dalla mattina del 22 marzo.



Dopo l'allarme dato dai familiari, che non riuscivano più a contattarlo, l'auto di Salviato, che lavorava a Tobruk per l'impresa Ravanelli di Venzone impegnata nella realizzazione degli impianti idrici della città, è stata rinvenuta lungo il tragitto tra l'hotel dove pernottava e un cantiere dove aveva un appuntamento, ma non è mai giunto: all'interno, le dosi d'insulina vitali per la sopravvivenza del tecnico che, altro forte elemento di preoccupazione per la famiglia, è diabetico.



Da allora più nulla. «Siamo al punto di partenza, non sappiamo niente: chi l'ha rapito, perché, cosa vuole. Siamo stanchi, distrutti, dall'angoscia per la sua sorte, dall'attesa, dal non sapere» spiega la sorella Cristiana, che però continua a dirsi ottimista sul rilascio («ci crediamo sempre») e anche sicura che «i rapitori, se mi fratello è vivo, gli hanno procurato l'insulina». Cristiana, che con la cognata sente a cadenza quasi giornaliera la Farnesina, ribadisce anche la certezza che «stanno lavorando e facendo tutto il possibile: dobbiamo fidarci del nostro Stato».



E arriva anche a comprendere il fatto che «dal Ministero non ci dicano nulla. Siamo isolati nelle informazioni, ci piacerebbe avere più considerazione intesa come fiducia, ma capisco che è il loro modo di operare, che devono tenere lo stretto riserbo per la tutela dell'ostaggio. Del resto, abbiamo scelto da subito un profilo basso, anche perché questa gente che ha in mano mio fratello non pensi che sia una persona importante: è solo un tecnico emigrato in Libia per vivere, perché qui in Italia non trovava lavoro». Ma la mamma di Salviato è molto meno «diplomatica».



Due settimane fa aveva affidato a una lettera uno sfogo sdegnato contro il Governo dopo l'approvazione in Senato del Decreto Carceri: «Ai clandestini danno 42 euro al giorno, ai delinquenti 8, ai nostri disoccupati zero: mio figlio in Libia non voleva andarci, ma per lavorare non ha avuto scelta e guardate cosa gli è successo» aveva lamentato. E ieri, alla vigilia dei cinque mesi dal rapimento, ha lanciato un altro grido di dolore, verso la titolare della Farnesina. «Ora che in Libia hanno eletto un governo, perché il Ministro Mogherini, come fa per gli altri Paesi, non si reca anche laggiù per sottoporre il caso di Gianluca? Va dappertutto! Mio figlio non va dimenticato. Sono disperata ma anche tanto arrabbiata: cinque mesi senza avere lo straccio di una notizia sono un'eternità».
Ultimo aggiornamento: 22 Agosto, 07:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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