Antrace all'Avepa, il caso è chiuso

Venerdì 25 Aprile 2014
Le indagini non sono riuscite a far luce sul caso delle lettere al falso antrace inviate al vicedirettore dell'Avepa di Belluno all'epoca in procinto di salire di grado. Era l'11 marzo 2013 quando l'allarme scattò in via Vittorio Veneto, nel palazzo Millennium dove hanno sede gli uffici, accendendo i riflettori sul malessere persistente degli agricoltori, vittime non solo di una burocrazia folle ma anche di pesanti ritardi nei pagamenti che dovevano essere erogati proprio da Avepa, agenzia veneta preposta all'erogazione dei fondi sulle varie misure per l'agricoltura.
Evacuati i locali scattarono imponenti misure di sicurezza, perché l'antrace è una pericolosissima infezione acuta causata dal batterio Bacillus anthracis che può portare alla morte. Venne così creato un cordone sanitario per evitare possibili contaminazioni. Una di queste lettere, contenenti la sospetta polvere bianca, venne anche inviata al domicilio del dirigente.
A distanza di oltre un anno, dopo scrupolose indagini che hanno cercato di portare alla luce il possibile autore della minaccia "chimica", alla quale però fece seguire una lettera di scuse, come se il gesto fosse quello di un disperato più che di un criminale, non si è riusciti a trovare il bandolo della matassa. L'ambiente in cui si è indagato era obbligatoriamente quello agricolo, dentro al quale covava, e in larga parte cova ancora, una grande sofferenza. Le analisi chimiche sulla sostanza rivelarono poi che si trattava solo di polvere minerale, per nulla pericolosa. Chiaro l'intento di intimorire gli uffici di via Vittorio Veneto.
Se l'inchiesta della Procura non ha sortito alcun esito giudiziario, pare, invece, averlo sortito sotto il profilo dell'efficienza dell'Avepa. Voci dell'ambiente, che preferiscono restare rigorosamente anonime, assicurano che mai c'è stata tanta cortesia e attenzione per gli utenti. Polvere miracolosa, insomma.
Per il presidente della Coldiretti, Silvano Dal Paos, si tratta tuttavia solo di forma, non certo di sostanza, rimasta comunque scarsa. Perché? «Perché -risponde Dal Paos- l'Avepa dovrebbe preoccuparsi solo di controllare ed erogare i fondi, non di creare complicazioni agli agricoltori». Dal Paos richiama alla necessità che gli uffici locali si assumano maggiori responsabilità senza girare ogni minino problema sempre a Padova, allungando a dismisura i tempi già esasperati della burocrazia.
Nel frattempo, ogni avanzamento di carriera previsto all'epoca all'interno dell'Avepa di Belluno, è stato congelato.