Protezione Civile: piani da rivedere

Lunedì 24 Novembre 2014
Il sito della Protezione Civile non la racconta giusta: sono solo due, e non quattordici come riportato sul portale nazionale, i Comuni bellunesi sprovvisti di un Piano di emergenza. Cesiomaggiore, Cibiana, Comelico Superiore, Danta, Forno, Perarolo, Santo Stefano, Sappada, Soverzene, Vigo e Vodo il piano ce l'hanno, con tanto di approvazione della Provincia. I municipi bellunesi, insomma, sono bravi. Più bravi di molti altri in Italia. Eppure non basta. Avere un Piano di Protezione Civile non è sufficiente: aggiornamento e flessibilità sono le parole d'ordine. Perché la differenza tra un piano buono e un piano meno buono si vede nel momento del bisogno. E nell'emergenza non è il caso di improvvisare. Perché il protocollo di Protezione Civile è l'insieme delle procedure operative di intervento per fronteggiare una qualsiasi calamità, è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un'area a rischio. Ovvio che la capacità e la tempestività dell'intervento siano legate indissolubilmente alla conoscenza del territorio e alle condizioni della macchina operativa, che deve essere pronta e costantemente aggiornata oltre che allenata. «E proprio su questo aspetto dobbiamo lavorare per costruire una cultura diversa - spiega Fabio Bristot, consigliere provinciale con delega alla Protezione Civile -. Avere un Piano di emergenza non basta: bisogna tenerlo aggiornato costantemente. La bontà di un piano sta nella capacità di aggiornarlo e renderlo flessibile. Se un piano è rimasto fermo immobile dal momento in cui è stato redatto, non serve a niente». Si spieghi meglio. «Un esempio: se nel documento viene inserita un'azienda a cui appoggiarsi per la fornitura di mezzi, come potrebbe essere una ruspa per rimuovere una frana, e quell'azienda è fallita, è ovvio che il piano serve a poco. Poi c'è anche la questione della procedura di convocazione del Coc (il Centro operativo comunale, ndr): in alcune situazioni si sono verificate lentezze, che rischiano di compromettere la gestione dell'emergenza». Aggiornamento, dunque. Perché sul sito della Protezione Civile vengono indicati come mancanti di piano 14 Comuni bellunesi? «Non saprei. Evidentemente il sito non è aggiornato». E i Comuni bellunesi? Tengono aggiornati i loro piani? «Difficile a dirsi. Dovrebbe stare alla consapevolezza di cos'è un Piano di Protezione Civile. Troppo spesso si punta alla gestione dell'emergenza più che alla prevenzione. Troppo spesso i piani prescindono da una conoscenza dettagliata e consapevole del territorio. Ma la cultura della prevenzione non si improvvisa: si tratta di un lavoro che richiede mesi, anni». Quanti sono i Comuni bellunesi ancora sprovvisti di piano? «Abbiamo fatto una verifica: sono totalmente mancanti di piano Ospitale di Cadore e Vallada Agordina. Anche Castellavazzo non ha mai avuto un protocollo per le emergenze, ma la stesura è stata sospesa per la fusione con Longarone. Auronzo ha un piano approvato con prescrizioni importanti e di conseguenza il documento dovrà essere ripreso in mano. Pieve d'Alpago, Vodo e San Nicolò invece hanno piani approvati con prescrizioni lievi».

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