La minoranza dem minaccia la scissione

Giovedì 27 Novembre 2014
Il voto sul Jobs Act unito all'astensione record alle regionali di domenica scorsa crea una miscela esplosiva nella minoranza del Pd che fa volare gli stracci tra Matteo Orfini e Gianni Cuperlo e con Rosy Bindi che tenta di rottamare Matteo Renzi e rievoca il ritorno dell'Ulivo. Intanto dalla Cgil, Susanna Camusso minaccia il ricorso alla Corte di Giustizia europea, paventando in lontananza anche un possibile referendum abrogativo della legge.
Dopo lo strappo dei 29 parlamentari Pd che sono usciti dall'aula al momento del voto e in una conferenza stampa hanno presentato il documento dello strappo, il presidente del partito Orfini li aveva apostrofati sul Corriere della Sera come «primedonne». Gelida la replica di Cuperlo, «impressionato dal tono e dal merito di queste frasi»: «E' stata una scelta che a tanti è costata, e non poco», sottolinea. E contrattacca: «Ti ho votato come presidente del nostro partito. Che dovrebbe essere una figura di garanzia verso tutti. Personalmente non mi sognerei mai di dire che la posizione di altre e altri, tra di noi, quando si esprime sul merito del provvedimento o di una legge risponde ad altre logiche che non siano quelle dichiarate. Mi piacerebbe che nel nostro partito questo principio fosse condiviso da tutti. Ma sarebbe giusto che a condividerlo fosse almeno il nostro presidente». Controreplica di Orfini: «Ieri è successa una cosa molto grave. E per me dolorosa», e «se tutti ci comportassimo come ieri avete fatto voi, questo partito diventerebbe uno spazio politico, e non un soggetto politico (per citare Bersani). E non durerebbe a lungo».
Intanto Bindi, tra i 29 dissidenti, ha approfittato della forte astensione di domenica per togliersi qualche sassolino contro il segretario-premier. «Se alle regionali avessero votato gli stessi elettori delle europee, dovremmo dire che oggi il Pd è tornato al 30%, un numero più vicino al 25 di Bersani che non al 41 di Renzi» e che «sono stati rottamati 750 mila elettori in un colpo solo, non la Bindi». Aggiungendo che «se il Pd torna a essere il partito dell'Ulivo, che unisce e accompagna il Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova» che ispirandosi a quella guidata da Romano Prodi sarà «tutt'altro che minoritaria, una forza di sinistra, competitiva con il partito della nazione. E allora servirà, oltre alle idee, la classe dirigente».
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