Sulla riforma il contropiede di palazzo Chigi

Giovedì 20 Novembre 2014
ROMA - «Gubitosi va avanti perché ha capito che ha l'occasione per passare alla storia. Così come acceleriamo sulla riforma per cambiare la legge Gasparri». A palazzo Chigi non si scompongono più di tanto per la scelta del cda della Rai di ricorrere contro il taglio dei 150 milioni deciso dal governo nell'aprile scorso.
Lo scambio di sms e il colloquio che Renzi ha avuto ieri sera con Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni, non promette però nulla di buono per l'attuale cda e, soprattutto, per il suo presidente Anna Maria Tarantola, che al momento della votazione si è astenuta. «Un tartufo che ha voluto oscurare l'operazione Raiway voluta da Gubitosi», spiegano a palazzo Chigi dove ora si fregano le mani per avere ricevuto, servita sul piatto, l'occasione di sistemare «un'azienda che riceve e spreca denaro pubblico e che, a differenza di altre, pensa di sfilarsi da logiche di risparmio e contenimento dei costi». Il pensiero è a quegli 80 euro che il governo ha dato in aprile proprio attingendo anche dalla Rai. «Vediamo cosa faranno e come andrà il ricorso - spiegano dalle parti del Nazareno - vorrà dire che nell'immediato interverremo su altro». Eh già, perché i trasferimenti del governo alla Rai sono fatti di molte voci e i modi per ”affamare la bestia” possono essere molteplici. A cominciare dal canone. L'irritazione a palazzo Chigi è forte anche per come gli uomini del Pd hanno gestito la faccenda. A palazzo Chigi finora si è ostentato distacco ma c'è rammarico per la scelta dei tempi del Cda che fa coincidere il ricorso con la quotazione di Raiway, azienda che in un sol giorno, grazie al rialzo in Borsa, ha fatto guadagnare 250 milioni alla stessa Rai. Ricordare la contrarietà alla quotazione delle stesse forze politiche che ieri hanno votato per il ricorso, è facile per Michele Anzaldi, deputato e componente la commissione di Vigilanza, unico a non aver partecipato al pellegrinaggio a Saxa Rubra della Vigilanza organizzato dal pentastellato Fico, il quale, in pochi mesi sembra aver assorbito perfettamente le logiche dell'”uno a me e l'altro a te” che assediano da decenni la principale azienda culturale italiana. Logiche che, grazie alla legge attuale, permetterebbero ad aprile anche al M5S di pretendere una poltrona nel cda, così come a Scelta Civica e al Ncd. Ovvero ai due partiti che non esistevano quando il governo Monti insediò l'attuale Consiglio. Era luglio 2012, ovvero «un secolo fa» per le logiche renziane che ora devono fare i conti con un cda in scadenza e composto da membri dal destino incerto per la volontà del governo di cambiare la governance dell'azienda. Tobagi e Colombo, eletti da sinistra in quota ”Libertà e giustizia” e orfani del principale sponsor divenuto renziano, hanno votato a favore. La Todini, eletta in quota centrodestra e nominata da Renzi alle Poste, ha votato contro e si è dimessa mentre l'Udc De Laurentis ha votato a favore come il forzista Verro che è ora pronto a schierarsi anche contro la riforma Gubitosi. Le resistenze interne sono però fortissime. A palazzo Chigi non sono sfuggiti i pressing di direttori e vicedirettori - nominati al tempo del governo Monti - che, oltre ad aver evitato sinora il taglio agli stipendi varato dal governo, hanno speso molto tempo per operazioni di lobby cercando sponde e agitando redazioni.
(M.C.)

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