Un segnale per il Pd e per la maggioranza

Lunedì 24 Novembre 2014
Un segnale per il Pd e per la maggioranza
(Segue dalla prima pagina)

E se le elezioni regionali in Emilia Romagna rappresentassero un test sulla tenuta del governo, la doppia vittoria annunciata dei due candidati del Pd sarebbe la testimonianza di un consenso che, malgrado tutto, regge come dimostrano anche i sondaggi che danno il Pd a quote ancora molto alte, così come il gradimento del presidente del Consiglio.
Per Renzi il rifiuto della scheda elettorale, esercitato dagli aventi diritto in maniera così massiccia, deve interrogare tutti e non solo il governo o il Pd. Un segnale colto anche alle scorse elezioni europee e che spinse il governo ad una serie di provvedimenti-testimonianza, come il tetto agli stipendi. Segnali dati dalla politica e dai partiti nel momento in cui rivendicavano un ruolo rispetto all'esperienza - non proprio felice - dei governi affidati a tecnici.
Il fatto che il voto di ieri «non sia un referendum sul governo», come sottolineato dal ministro Boschi, non esclude degli effetti sul Pd e sulla maggioranza, specie quella allargata a FI sulle riforme e sulla legge elettorale. Il crollo di affluenza nella regione rossa per eccellenza viene spiegato a palazzo Chigi soprattutto con motivazioni locali legati alle dimissioni di Vasco Errani e alla successiva inchiesta sui rimborsi dei consiglieri regionali. Lo scontro frontale del presidente del Consiglio con la Cgil e la sinistra del partito hanno fatto il resto consegnando a Stefano Bonaccini una vittoria ”mutilata” nel consenso visto che probabilmente dovrà governare una regione con un numero assoluto di votanti il più basso nella storia dell'Emilia Romagna. Meglio dovrebbe andare in Calabria, dove la mobilitazione è stata più alta forse anche per il maggior uso che al Sud si fa del voto di preferenza. Il fatto che poi ci siano stati più votanti nella regione di Oliverio, candidato non renziano, rispetto a quella dove si è votato per un ex bersaniano passato nelle file del premier, potrebbe diventare un altro elemento nella polemica tutta interna al Pd.
Il voto di ieri scarica anche l'ennesima incognita sul centrodestra a trazione berlusconiana. Il «divisi si perde», che anche oggi il Cavaliere dirà, non sembra scuotere più di tanto i tradizionali alleati del Cavaliere. Le difficoltà dell'uomo di Arcore di far valere la sua golden share dell'area moderata sono ormai evidenti. Nè Alfano nè Salvini intendono rientrare in una coalizione, peggio ancora in un partito, a trazione berlusconiana. Tanto più se si tratta comunque di perdere contro il Pd renziano. Berlusconi, che solo un mese fa sosteneva su queste colonne di poter tornare ad allearsi anche con la Lega, non sembra rassegnarsi e sotto il naso di Salvini sventola l'intesa in due regioni che per il Carroccio sono fondamentali: il Veneto e la Lombardia.
La contesa interna al centrodestra interessa poco il presidente del Consiglio se non fosse per i riflessi che avrà sulla partita per la legge elettorale. Berlusconi, dopo aver dato il via libera al premio al partito, subisce le resistenze interne guidate da Raffaele Fitto e contesta lo sbarramento al 3%. Senza segnali dal Cavaliere sulla volontà di tener fede al patto del Nazareno, il testo che uscirà dalla commissione presieduta da Anna Finocchiaro, ricalcherà anche nelle virgole l'intesa raggiunta nella maggioranza. Al tentativo di Berlusconi di prender tempo, cercando di far entrare la legge elettorale nella trattativa per il successore di Napolitano, Renzi ha già replicato ponendo come imperativo il varo della legge al Senato entro dicembre offrendo garanzie anche a quegli eletti di FI che guardano con sospetto il reclutamento berlusconiano di facce giovani da candidare e l'amore per il Consultellum sbocciato ad Arcore.
Marco Conti

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