Non mettono il velo, picchia a sangue la moglie e la figlia

Mercoledì 26 Novembre 2014
Pretendeva che moglie e figlia indossassero il velo. E se non obbedivano venivano sottoposte a continui pestaggi. Neppure dopo essere finito agli arresti domiciliari a casa di parenti per aver violato il divieto ha smesso di perseguire il suo obiettivo. Tanto che, una volta ottenuta la revoca della misura cautelare, ha pensato bene di riprendere ad importunare le due donne tempestandole di telefonate nel tentativo di costringerle a ritrattare le accuse. A.S., operaio marocchino di 46 anni, residente in un quartiere periferico della città, padre padrone tra le mura di casa, è andato incontro ad un pesante rimbrotto da parte del giudice Beatrice Bergamasco. È avvenuto dopo che l'avvocato di parte civile, il penalista Pierilario Troccolo, ha denunciato la violazione, da parte dell'imputato, del divieto di avvicinarsi e di comunicare con la parte offesa. Qualora continuasse a contattarle, rischierebbe di finire dietro le sbarre.
La vicenda era venuta a galla nel marzo scorso quando la ragazzina 14enne era stata dirottata dai sanitari del pronto soccorso al Centro regionale per la diagnostica del bambino maltrattato. Dalla denuncia dell'unità di crisi della Clinica pediatrica dell'Azienda ospedaliera è emersa la situazione di violenza e sopraffazione. La ragazzina aveva raccontato di essere stata trascinata dal padre per i capelli, colpita con calci e schiaffi al volto, con una scarpa in testa, spinta contro un armadio e buttata a terra. Il padre-padrone non voleva che uscisse di casa e pretendeva che indossasse il velo islamico. Non perdeva poi occasione per offenderla, umiliarla e metterle le mani addosso. In un'occasione l'aveva picchiata perché era uscita di casa soltanto col permesso della madre e non il suo. In un'altra occasione l'aveva trascinata giù dal letto mentre dormiva e presa a calci e schiaffi perchè era rientrata a casa alle 20. La ragazza non ne poteva più di subire violenze, aveva paura di tornare a casa. Una vita così triste da portarla a compiere anche atti autolesionistici. Due psicologhe e un medico del Centro del bambino maltrattato hanno confermato il racconto sottolineando con quanta fatica la madre della ragazzina abbia trovato il coraggio di rompere il muro di paura e di omertà dopo il ricovero al pronto soccorso.
In precedenza era stata la donna, che a giorni dovrebbe finalmente ottenere la separazione da A.S., a deporre in aula. Con un racconto più volte interrotto dalle lacrime ha ripercorso dodici anni di matrimonio, costellati di violenze fisiche e psicologiche. Il giudice avrebbe voluto concederle qualche minuto di pausa ma la donna ha voluto tirare dritta fino alla fine. Voleva evidentemente concludere prima possibile quel calvario. È stata vittima di continue intimidazioni e privazioni. Il marito - che le aveva sottratto il passaporto - pretendeva anche di imporre una rigida educazione ai quattro figli tra umiliazioni e minacce.
Dopo aver vissuto per un breve periodo in una struttura protetta, moglie e figlia hanno potuto tornare a casa. L'uomo non si rassegna alla prematura conclusione del suo matrimonio. Per il momento deve contribuire al mantenimento della consorte e dei quattro figli con 600 euro al mese.

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