«Dobbiamo portare la Parola fuori dalle chiese e fare la carità»

Giovedì 20 Novembre 2014
Il tempo di Lucio Soravito de Franceschi a capo della diocesi di Rovigo sta finendo. Il vescovo ha festeggiato dieci anni alla guida dell'episcopato, e l'8 dicembre compirà 75 anni e andrà in pensione.
«Non me ne andrò subito, di solito si resta per qualche altro mese, anche un anno. Io sto in Polesine volentieri perché mi trovo molto bene in questa diocesi. Non è grandissima, ho sempre avuto ottimi rapporti con i fedeli e con i preti».
Intanto si traccia una linea e si fa il bilancio di questa decade polesana segnata da appuntamenti importanti come il sinodo, conclusosi nel 2011. «Mi pare di essermi incarnato nella realtà storica e impegnato ad animare la Chiesa in Adria e nel capoluogo con tutto quello che si poteva fare», evidenzia.
«Dopo la visita pastorale, tra il 2006 e il 2007, in cui abbiamo incontrato la gente per conoscere la situazione, nel 2008 abbiamo iniziato il sinodo che è stato preceduto da alcuni mesi di preparazione, prima dell'apertura ufficiale in settembre. Durante il primo anno abbiamo sondato le esigenze sociali e pastorali di tutto il Polesine, non solo della diocesi. Abbiamo cercato di capire quali erano i problemi e le attese. Nel secondo anno abbiamo voluto riflettere gli orientamenti pastorali per una Chiesa incarnata nel territorio, attenta agli atteggiamenti di fede».
Nel terzo anno, invece, «ci siamo soffermati a riflettere su tre soggetti fondamentali: famiglia, giovani e poveri. Cosa fare per le famiglie, con i giovani e con i poveri? Concluso il sinodo il 16 ottobre 2011, abbiamo cominciato a fare delle scelte per realizzare quello che si era deciso in questi tre anni. La Chiesa ha intrapreso un cammino di attuazione delle scelte, mettendo al centro queste persone».
Ci sono poi le indicazioni da Roma, con Papa Benedetto XVI che «ha indetto un anno sull'approfondimento della fede. Anche noi abbiamo dedicato mesi a riscoprire i nuclei importanti della fede, cercando di aiutare i cristiani a riscoprire che la fede non va nascosta, ma testimoniata. Dobbiamo essere dei cristiani missionari. Questo ha fatto sì che il quarto anno post sinodale sia incentrato su questo tema: il popolo di Dio in missione. Non andiamo in chiesa e basta, ma andiamo in chiesa per essere cristiani fuori».
Il vescovo invita a farsi «provocare e guidare dalla povertà. La tentazione è quella di guardare il proprio interesse, ma se viviamo nella società non possiamo restare indifferenti. Mi batto da quando siamo qui: noi non siamo cristiani per noi, lo siamo per gli altri».
Il secondo obiettivo pastorale è stato quello di «caricare di verità la Chiesa e testimoniare la fede con azioni concrete, perché la fede senza carità non vuol dire nulla».
Dieci anni pieni e impegnativi che hanno portato a una profonda revisione. A questo si devono aggiungere anche i problemi a coprire tutte le parrocchie con i sacerdoti. «Deve iniziare un rapporto dialogico e di collaborazione tra preti, spingendo verso delle attività da fare a livello interparrocchiale e vicariale. Parlo degli incontri con i ragazzi delle medie, con i giovani, i fidanzati, gli sposi, i cresimati».
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