Galera alle spalle: «Ma che rabbia»

Sabato 19 Aprile 2014
Da un paio d'ore il Tribunale della Libertà di Brescia ha messo nero su bianco che Rocchetta, e come lui altri sei venetisti debbano essere liberati. L'accusa di associazione eversiva con finalità terroristiche, per i giudici bresciani non sussistono. E quindi i motivi della detenzione decadono. Rocchetta ha voglia di sfogarsi. E quando inizia a parlare è torrenziale. Per 45 minuti risponde a ogni domanda. E ne ha per tutti: difende e incensa i «patrioti veneti», sferza senza pietà lo «Stato italiano colonizzatore», «Vittorio Emanuele II criminale di guerra» e Giuseppe Garibaldi «mercenario sanguinario». E poi la prigione: «Un'esperienza interessante che lo Stato colonialista italiano regala a chi desidera un po' di giustizia. Sono stato trattato bene. Ma le due ore e mezza di viaggio per raggiungere Brescia le ho dovute fare ammanettato in un furgone cellulare e rinchiuso in uno spazio di un metro quadrato. Seduto su un sedile rigido, non potevo nemmeno muovere le gambe o ripararmi dai sussulti. Ho appena compiuto 67 anni e in carcere ho subito due traumi ma i medici non hanno detto nulla. L'Unione Europea, di cui lo Stato italiano colonialista e fallimentare si vanta di essere uno dei fondatori, non dovrebbe permettere simili trasporti. Anche per un animale sarebbe stato mostruoso».
Si scaglia contro i magistrati di Brescia che lo hanno dipinto come un terrorista: «Quelle accuse sono un oltraggio. Hanno preso una persona libera, che non ha mai fatto del male a nessuno, e l'hanno portata in un carcere. Un abominio frutto di costruzioni stravaganti e scioviniste da parte di persone che non vivono questa società e non la conoscono. Ma gli concedo un'attenuante: sono passati attraverso l'università coloniale italiana che li ha resi a loro volta colonizzatori».
Parla anche del famigerato tanko, costruito in gran segreto nelle campagne padovane: «Tutti quelli che abitavano attorno a quel capannone sapevano cosa si stesse costruendo là sotto. Io ho visto solo un mezzo cingolato, ancora ricoperto con pannelli di legno, che sarebbe dovuto servire per una cerimonia. E ne ho preso atto». E la cerimonia in questione doveva essere organizzata lungo la Riva degli Schiavoni a Venezia contro il monumento «dedicato all'Hitler del diciannovesimo secolo che risponde al nome di Vittorio Emanuele II». Ma non per abbatterlo o danneggiarlo, semplicemente per dimostrare -«in modo pacifico»- la rabbia del popolo veneto.
E poi se la prende anche con Floriana Casellato, sindaco di Maserada e deputata del Pd, che nei giorni scorsi lo ha pesantemente attaccato: «Parole ripugnanti dette per di più da una donna e contro una persona priva della propria libertà. La Casellato non mi conosce e non può conoscere tutte le risorse che ho impegnato per un'ideale. E mi dispiace che se la sia presa anche con chi è venuto a trovarmi».(((caliap)))