Dai lavoratori la spinta alla fine del fascismo

Giovedì 24 Aprile 2014
Dai lavoratori la spinta alla fine del fascismo
Nel 1941 le sconfitte militari dell'Asse comportarono, tra l'altro, l'aumento dell'inflazione e del mercato nero. I sindacati fascisti firmarono con il governo tre accordi interconfederali: per un premio straordinario di “operosità”, per il raddoppio degli assegni familiari e per il recupero del salario perduto in caso di riduzione dell'orario (era la prima formula di Cassa Integrazione), mentre l'anno dopo venne istituito il “premio del ventennale”. Ciò nonostante, i fascisti non riuscirono a contrastare il forte peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. L'impotenza dei sindacati di regime raggiunse l'apice nel marzo-aprile 1943 in occasione degli scioperi spontanei contro il carovita. Fu una lotta che accelerò non poco la crisi del fascismo. Nelle fabbriche cresceva il rifiuto del regime che aveva soppresso le libertà civili, politiche e sindacali (a partire proprio dal diritto di sciopero). Dopo la caduta di Mussolini nel luglio 1943, i sindacati fascisti furono commissariati e il 2 settembre il delegato della Confindustria, Mazzini e l'ultimo segretario della CGdL prefascista, Buozzi, (presente il ministro Piccardi) firmarono il primo accordo per ripristinare le Commissioni Interne, abolite nel 1925. In Liguria, tra novembre e dicembre 1943 ci furono altri scioperi in contrasto con la “pace sociale” imposta dalla repubblica di Salò: anticiperanno la lotta che, nel marzo 1944, si caratterizzerà come la principale protesta operaia nell'Europa occupata dai nazisti.
Fu un successo clamoroso che comportò una feroce repressione fatta da rastrellamenti, arresti, deportazioni e fucilazioni. Alla fine, i lavoratori delle fabbriche deportati nei campi di concentramento nazisti saranno migliaia. Nell'aprile 1945 (quando il CLN proclamerà l'insurrezione) in centinaia di fabbriche avverrà lo sciopero insurrezionale. La parola d'ordine dei Comitati di lotta clandestini fu: “un'arma per ogni operaio” e le aziende vennero presidiate per impedire il saccheggio dei macchinari e degli impianti da parte dei tedeschi in fuga. Si concludeva un importante lavoro strategico, perché se fino a quel momento era necessario sabotare la produzione destinata ai nazifascisti, dopo occorreva salvaguardare il potenziale produttivo necessario all' Italia liberata. Gli operai-partigiani che, armi alla mano, difendevano la loro fabbrica, avevano chiaro che proprio in quel momento riprendeva il cammino democratico della società civile. Infatti, sin dal primo Congresso CGIL delle zone liberate (Napoli, 28 gennaio-1° febbraio 1945) il valore delle lotte dei lavoratori venne assunto come strada maestra per la ricostruzione dell'unità nazionale. Nella prima riunione del Comitato Esecutivo della CGIL friulana (6 maggio 1945) fu deciso di:“….chiedere al Comitato Provinciale di Liberazione la concessione in uso dei locali della cessata organizzazione sindacale fascista, siti in piazza S. Cristoforo, per installarvi gli uffici della Camera Confederale del Lavoro e di incontrare, il giorno successivo, i lavoratori dell'Ospedale civile e della Officina del Gas…”. Quell'atto sanciva ufficialmente la rinascita della Camera del Lavoro di Udine.