Al Mart di Roverto le meraviglie
del controverso Modigliani scultore

Lunedì 17 Gennaio 2011 di Costanzo Costantini
Amedeo Modigliani
TRENTO (16 gennaio) - Si aperta il 18 scorso al Mart di Rovereto la mostra “Modigliani scultore”, curata da Gabriella Belli, Flavio Fergonzi e Alessandro del Puppo, nella quale figurano le principali sculture “certe” dell' artista livornese eseguite fra il 1911 e il 1913, oltre disegni, appunti, missive. Per l’occasione stato ricordato il colossale abbaglio in cui incorsero nel 1984, nel centenario della nascita di Modigliani, i maggiori storici dell’arte italiani, fra i quali Brandi, Argan, Ragghianti ed altri, scambiando per capolavori le due rozze pietre, una in granito e l’altra in arenaria, che alcuni studenti universitari avevano gettato, per scherzo, nel Fosso Reale di Livorno, a breve distanza dello studio in cui lavorava Modigliani prima che nel I906 si trasferisse a Parigi.



Nel 1909 egli era tornato realmente nella città natale e da allora correvano voci che avesse buttato in quel fosso delle sculture di cui non era soddisfatto. Ma i capolavori di cui parlavano i nostri storici dell’arte, ai quali si erano aggiunti il direttore dell’Accademia di Francia a RomaJean Leymarie, lo storico dell’arte Enzo Carli, lo scultore Pietro Cascella e il direttore degli Uffizi Luciano Berti, erano opera di quei “ragazzacci” burloni. Diamo un piccolo florilegio dei folgoranti giudizi degli esperti su menzionati. Brandi: «C’è il gusto infallibile di Modigliani, quelle due teste hanno una luce interiore». Argan: «Sono autentiche. Quei ragazzacci mentono». Ragghianti: « Sono opere fondamentali per Modigliani e per la scultura moderna». Leymarie: «Sono dei capolavori». Carli: «La testa in granito è più modiglianesca, ma io preferisco quella in arenaria, è più pittorica». Cascella: «Entrambe sono belle. Due poli: spirituale e materiale». Berti: «Tutto superlativo».



Che Modigliani fosse anche uno scultore, oltre il pittore che tutti conosciamo, è assolutamente indubbio. Giovanna Modigliani, la donna nata nel 1918 dall’artista maledetto e da Jeanne Hébuterne, la quale diceva che il pittore-scultore era «il suo orizzonte triste», sosteneva che la vera vocazione del padre era la scultura, più che la pittura, tanto è vero che come scultore era di gran lungo più esigente con se stesso che come pittore. Ciò è confermato da ciò che nell’aprile del 1910 disse al suo amico fraterno Constantin Brancusi che lo aveva invitato a colazione nel proprio studio, dopo che Modigliani lo aveva invitato a ripulirlo per lo straripamento della Senna. Ecco cosa gli disse: «Dove sono le sculture che ti ho dato? Ti prego di non farle vedere. Non voglio mostrarle fino quando non avrò fatto qualcosa di eccezionale». Aggiunse: «Ne ho fatte alcune a Livorno ma le ho fatte sparire, le ho buttate via».



Le sculture che non aveva fatte sparire sono infatti eccezionali. Come Brancusi, che era suo amico fraterno, e come Picasso, si era ispirato alla scultura africana e greco-antica, oltre che alla scultura italiana vista Firenze e a Venezia. I promotori della mostra al Mart di Rovereto intendono mostrare il Modigliani scultore e pittore al di fuori di ogni mito. Ma come è possibile? E perché, poi? Egli è un mito da circa un secolo, uno dei più grandi miti dell’arte moderna. Un mito eccezionale, come le sue sculture, perché lo è diventato senza che lo volesse, mentre gli artisti in genere venderebbero l’anima al diavolo pur di diventarlo.
Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 00:30

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