Sarà anche vero che lo spread non ha risparmiato dispiaceri e mal di pancia negli ultimi anni. Al Tesoro di sicuro. Ma anche ai portafogli degli italiani tra prestiti e volatilità sui mercati. Soltanto sei mesi fa la differenza di rendimento tra Btp e Bund tedesco, il premio per il rischio pagato dall’Italia, viaggiava oltre 200 punti, il doppio di oggi, e dal picco del 17 marzo (quando era a quota 275) ha lasciato sul terreno circa il 60%. Lo chiamano il bonus-Bce, che insieme all’effetto Recovery Fund – che prima o poi arriverà – può raffreddare ancora i rendimenti un po’ in tutta Europa.
PROMESSE E RISCHI
Il titolo preferito di Saxo Bank continua ad essere, però, il trentennale made in Italy. La tranche emessa a gennaio scorso ha già guadagnato oltre il 22% da giugno, più di quanto abbia guadagnato il FtseMib azionario di Piazza Affari (+21%), per intenderci. «E al momento è più conveniente rispetto a titoli analoghi di altri paesi, come il Portogallo e la Spagna». Come dire che c’è ancora spazio. «Lo spread tra il Btp a 30 anni e il Bund può ridursi sotto i 120 punti base, raggiungendo anche quota 100», fa notare l’esperta di Saxo Bank. «Prendendo in considerazione il trentennale Italiano che al momento offre un rendimento del 1,45% circa, se il rendimento del Bund rimane invariato una riduzione dello spread sotto i 120 punti si tradurrebbe in un apprezzamento nominale del 13%, che porterebbe il rendimento del trentennale intorno all’1% nei prossimi sei mesi». E lo spread del decennale? «Potrebbe scendere sotto 100 punti base fino a toccare quota 90», con il rendimento del decennale italiano «in calo di circa 25 punti base intorno a un rendimento del 0,35%». Come dire, almeno un altro 2% in più in portafoglio nel giro di 4-6 mesi. Tutto merito dell’azione sui mercati della Bce, ovviamente. È infatti Christine Lagarde, insieme al Recovery Fund, la vera “benzina” dei Btp anche nel 2021. Metterà sul tavolo almeno altri 500 miliardi in acquisti di titoli di debito del programma pandemico, in aggiunta agli 1,35 miliardi varati fra marzo e giugno. E sarà come mettere una ulteriore fiches sulla “sicurezza” del debito italiano.
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SPECULAZIONE
Se tutto andrà secondo le previsioni di Chiara Cremonesi, Deputy head of fixed income di UniCredit, alla fine dell’anno prossimo quasi il 30% del debito italiano (il 29%) potrebbe essere nelle mani della Bce. Almeno quattro volte una buona notizia. Lo è per la stabilità dello spread, con tanto di effetto positivo sul costo dei prestiti per famiglie e imprese. E ancora, ha un impatto positivo sui costi della raccolta per il Tesoro a caccia di risorse sul mercato. C’è poi il ritorno indiretto, che passa dalla Banca d’Italia, che si trova a incassare vagonate di interessi dal ministero del Tesoro destinati a ritornare a Via XX Settembre sotto forma di dividendi. E infine, la doppia mano Ue, tra Bce e Recovery Fund potrà continuare a dare le sue rotonde soddisfazioni a chi punta sui Btp. Scacco matto alla speculazione, almeno per ora.
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