Putin sta rispolverando Stalin, la nuova guerra fredda sembra già una realtà, il passato che ritorno.
In un interessante articolo sulla Civiltà Cattolica a firma di Vladimir Pachov, docente all’Istituto teologico «San Tommaso» di Mosca, si analizza la deriva e il pericolo di questo fenomeno che, si legge, «non deve essere sottovalutato, perché la giustificazione dei crimini del regime in nome della ragion di Stato o in nome dell’ordine e della giustizia sociale rende possibile che ciò che è accaduto una volta si ripeta ancora».
A permettere l'avanzata della stalinizzazione non è solo una spinta politica ben precisa, ma anche il fatto che i giovani - per intenderci la generazione Z - non conoscono di preciso chi sia stato Stalin, e questo fa capire anche come si insegni la storia nelle scuole russe.
Accanto a questo aspetto vi sono anche rappresentanti del neo-stalinismo che si basano su una sintesi assurda tra ortodossia e comunismo. Lo scrittore Ioann Snycëv, nel libro La Santa Russia e il regno del drago, per esempio, ha sostenuto che la civiltà russa ha vissuto il suo periodo di fioritura con Stalin. «I milioni di vittime vengono completamente dimenticati, mentre si parla volentieri dell’industrializzazione, della vittoria nella Seconda guerra mondiale e del ruolo della Russia come una delle due potenze mondiali del tempo, cosa che non si era mai verificata prima». Tutti argomenti che, «senza citare esplicitamente Stalin, possono essere sostenuti dalla propaganda di Stato, nel senso che una momentanea posizione di forza sullo scenario mondiale e la grandezza dello Stato possono essere ottenute a prezzo di sacrifici all’interno del Paese, anche se tale prezzo non deve essere necessariamente il sangue».
Stalin diventa così una icona a scopi politici che si erge a simbolo di giustizia, di ordine e di tutto il positivo che ci si aspetta dallo Stato. «Questo neo-stalinismo ha i suoi seguaci soprattutto tra i più anziani, che hanno rimosso l’orrore vissuto da loro stessi e dai loro genitori: si ostinano a dire che con Stalin tutto andava meglio, soprattutto l’«ordine», di cui sentono la mancanza, almeno a partire dai tempi della perestroika («i selvaggi anni Novanta»). Negli ultimi tempi si è andata affermando una nuova prospettiva, che presenta la storia della Russia come la storia della tragedia e della violenza che il popolo ha dovuto subire perché questo era il suo destino. Accettare la Russia significherebbe quindi accettare l’inevitabilità della sofferenza del popolo russo: le vittime del regime diventano (implicitamente) martiri».
La cosa migliore, scrive l'autore, per combattere il neo-stalinismo e ogni altra forma di nostalgia del totalitarismo «è mostrare che l’ordine, la stabilità e la giustizia possono esistere anche in uno Stato liberale che rispetta i diritti dei suoi cittadini ed è al loro servizi».