MONSELICE (PADOVA) - Da sacerdote nelle corsie del Covid hospital a parroco nel capoluogo padovano. In questi mesi don Marco Galante ha somministrato ai malati Covid «la medicina della speranza».
LA PARTENZA
«L'esperienza in ospedale non si concluderà subito. Rimarrò in servizio finché non verrà individuato il mio successore», assicura il sacerdote rallegrandosi del fatto che l'ospedale sia finalmente Covid free. Il Madre Teresa di Calcutta è stato il primo Covid hospital del Veneto e d'Italia. Qui quel fatidico 21 febbraio del 2020 morì la prima vittima. Un ospedale-simbolo in cui don Marco è diventato a sua volta simbolo di una chiesa che sta accanto a chi soffre. Anche stavolta ha risposto senza esitazioni alla chiamata del Vescovo, proprio come era successo a fine ottobre del 2020, quando don Claudio Cipolla gli aveva proposto la delicata missione di dispensare speranza nella difficile seconda ondata della pandemia. «Il mio compito è servire la chiesa dove il Vescovo ritiene più opportuno afferma don Galante, che è originario di Este Noi preti ogni tanto siamo chiamati a questi cambi di sede ma la chiesa è universale e quello che conta davvero è la gioia di poter annunciare il Vangelo».
IL BAGAGLIO
Certo da Monselice partirà con un bagaglio umano e spirituale importante, alla luce soprattutto dell'esperienza vissuta in questo ultimo anno e mezzo. «L'esperienza dell'ospedale è una scuola di vita. L'ospedale non è solo un luogo di morte e di sofferenza, anzi è un luogo dove si impara la vita. Io ho imparato a vivere, in ospedale. Come uomo e anche come sacerdote», racconta. Difficile per lui riassumerla in poche frasi, ma c'è una parola che più di tutte condensa il vissuto a Schiavonia: «Fraternità. Con i medici, con il personale, con i pazienti. Era un sentimento già presente prima dell'emergenza ma questa pandemia l'ha accresciuto ricordandoci che ogni persona che soffre è un fratello». Don Marco questa sofferenza l'ha toccata con mano. Tutti i giorni ha fatto visita ai malati colpiti dal virus. A identificarlo il nome scritto sulla visiera e una croce stilizzata disegnata sul camice. Questa sua missione don Marco l'aveva raccontata a papa Francesco in una lettera a cui il pontefice aveva risposto con una telefonata. Era metà aprile e don Marco, per indole incline allo scherzo e alla battuta, era rimasto ammutolito. «È stato uno dei momenti più emozionanti confessa soprattutto per il messaggio che ha voluto lasciare a tutti noi che lavoriamo all'interno dell'ospedale. Ci ha detto: Non vivete mai per abitudine accanto a chi soffre».