Stadi e concerti, si può fare. Ma in casa di riposo sono ancora tutti prigionieri del virus: visite "impossibili"

Martedì 25 Ottobre 2022 di Camilla De Mori
Una casa di riposo

“Prigionieri” del Covid. «Hanno riaperto gli stadi, hanno dato la possibilità di fare concerti con migliaia di persone.

Non è possibile che dentro le case di riposo gli anziani continuino a vivere come se fossimo ancora in piena pandemia. In caso di contagi, sono costretti a vivere da reclusi, pur essendo innocenti». Parte dal Friuli l’appello accorato di alcuni parenti, di cui si fa portavoce Flavia Aprile, di Sevegliano di Bagnaria Arsa, referente del comitato di un centro della Bassa che da quasi 4 anni ospita sua madre 89enne.


I FAMILIARI


Gli ultimi anni sono stati scanditi, per gli anziani e i loro parenti, da chiusure e riaperture. «Ogni volta che c’è un focolaio devono chiudere un reparto o almeno un “nucleo” della struttura e io noto che ogni volta che si arriva a una chiusura c’è un peggioramento dello status psicologico degli anziani - sottolinea Aprile -. Pensiamo alla loro salute fisica ed è fondamentale, ma il benessere della persona è legato anche al suo equilibrio psicologico. Non sono medico e non voglio mettere a repentaglio la salute di nessuno: sono per la linea del rigore, mascherine Ffp2 e solo un parente per anziano. Ma dobbiamo pensare che in casa di riposo alcuni ci vivranno per anni. Queste chiusure si presentano e si ripresenteranno. I focolai ci saranno ancora. Quello che preoccupa me e altri parenti è che ogni volta che si chiude, mia mamma e gli altri anziani si spengono un po’ di più, quando sono costretti a restare nelle loro stanze», dice Aprile, pur soddisfatta del centro in cui si trova sua madre, dove, dice, «ho scoperto una grande umanità». E ripercorre questi ultimi ormai quasi tre anni vissuti da sua mamma con gli altri anziani nella struttura che la ospita. La riapertura dopo il lockdown, le videochiamate, «la stanza degli abbracci, inaugurata il 24 dicembre del 2020», i vaccini, il ritorno delle uscite fuori dalla struttura «a maggio-giugno di quell’anno», «le nuove chiusure dell’autunno-inverno», «le visite dei parenti nelle stanze dedicate», i nuovi focolai e finalmente l’estate 2022, «quando dopo 2 anni abbiamo potuto rientrare nelle loro stanze».
«Vorrei dare voce al disagio che vivono questi anziani, vorrei dare voce a queste persone che non sono in grado di farsi sentire. Ora che il mondo sta tornando alla normalità, non è possibile che loro continuino a vivere come se fossimo in piena pandemia. Il mio è un sentire comune, condiviso da altri parenti. Per questo vorremmo fare un appello alle istituzioni perché cerchino di mitigare un po’ le regole, perché si possa arrivare a una fase in cui si possa pensare che anche loro non debbano restare reclusi nelle loro stanze in caso di contagi».


GLI OPERATORI


Alberto Bertossi, presidente dell’Azienda pubblica di servizi alla persona La Quiete di Udine, sottolinea che «noi saremmo ben favorevoli a un alleggerimento della normativa, anche perché questo spesso è motivo di frizione con i parenti degli ospiti, che hanno difficoltà a capire che applichiamo nulla più che le norme statali che ci vengono imposte. Il nostro è un ente pubblico e rispetta fino in fondo quello che viene richiesto. Ma visto che la situazione tutto sommato è sotto controllo e non crea particolari problemi sanitari, auspicherei che ci fosse una rivisitazione. Queste misure sono abbastanza penalizzanti per gli anziani». «Lo svolgimento delle visite è molto legato alla discrezionalità delle singole strutture. Noi, come azienda, teniamo molto a mantenere i contatti con i parenti e i visitatori. Da giugno abbiamo riaperto le strutture sette giorni su sette in presenza e i pazienti possono accedere ai nuclei. Ma speriamo che ci sia un alleggerimento delle misure e che ci sia più libertà per i nostri ospiti di avere visite e di ritornare alla normalità», dice Matteo Pittuello, referente infermieristico del Gruppo Zaffiro, che gestisce 5 strutture in regione (a Martignacco, Fagagna, Rivignano, Pordenone e Tarcento). «Purtroppo - gli fa eco Alessandro Santoianni, che dirige la casa di riposo di San Vito al Tagliamento - noi abbiamo le mani legate con i familiari. In caso di contagi, chiudiamo per reparto. Navighiamo a vista. Qualcuno dovrà decidersi prima o poi a dirci cosa dobbiamo fare. Siamo sempre stati figli di un dio minore purtroppo. Bisogna che si prenda coscienza che bisogna dare regole coerenti a quella che è la fase che stiamo vivendo. Se oggi non facessimo tamponi, forse gli anziani avrebbero raffreddore o febbre come un’influenza e non sapremmo che hanno il Covid».

Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 10:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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