Vigile da 37 anni, Aurelio Valenti va in pensione: «I giovani? Manca il rispetto»

Martedì 26 Marzo 2024 di Paolo Calia
Aurelio Valenti, vigile in pensione

TREVISO - «Rispetto a quando ho iniziato a lavorare come agente di polizia locale, nel 1987, i ragazzi sono cambiati. Allora c’era rispetto per la divisa, quasi timore. Non si vedevano le situazioni di adesso, non si parlava proprio di baby gang. Oggi è proprio cambiato il rapporto tra i giovani e l’autorità, che sia un agente, un professore, la stessa famiglia. La rispettano meno». È una delle tante considerazioni che fa Aurelio Valenti, 67 anni proprio ieri, vicecomandante della Polizia locale di Treviso che da lunedì primo aprile andrà in pensione dopo ben 37 anni di servizio: «E, nonostante il giorno, non è uno scherzo - sorride - ma fino a lunedì resto nel mio ufficio.

Poi continuerò comunque a collaborare in qualche modo».


LE FASI
Valenti ha visto la città cambiare, così come i trevigiani. «Alla fine degli anni Ottanta il nostro lavoro era più che altro legato alla viabilità, al controllo della sosta. Facevamo servizi come oggi in centro e nei quartieri, sorvegliando gli ingressi a scuola, facendo tanta viabilità agli incroci, controllando la sosta. Oggi è tutto cambiato: la sicurezza urbana è diventata l’occupazione maggiore. Ma la Polizia locale in realtà si occupa veramente di tutto: sicurezza, viabilità, ambiente, commercio. Per fare l’agente serve una grande preparazione giuridica, tecnica oltre che fisica». E sui ragazzi: «A Treviso non esistono baby gang propriamente dette. Ci sono, come in tutte le città, alcuni scalmanati che a volte esagerano, che fanno bravate dandosi appuntamento sui social. La Polizia locale fa il suo dal punto di vista della sicurezza, ma il problema poi va affrontato più dal lato sociale».


I RICORDI 
Valenti, entrato nel 1987 per concorso - «700 partecipanti per 17 posti», ricorda - come semplice agente è poi salito fino a diventare vicecomandante: «E devo ringraziare il sindaco Conte e il comandante Gallo». Nella sua carriera ha vissuto tutte le svolta che hanno fatto crescere il corpo dei vigili trevigiani: «L’allora comandante Francesco Carlomagno mi incaricò di seguire il progetto, lo sviluppo e la creazione della centrale operativa quando ci trasferimmo da piazza Duomo, dove non c’erano più spazi, a via Castello d’Amore. Sotto Gentilini iniziammo a lavorare con la videosorveglianza e, nel corso degli anni, ho approfondito molto l’argomento. Quando inaugurammo la nuova sede, la nostra centrale operativa ra la migliore di tutto il nordest. E ancora oggi si è tra le migliori tra tutte le forze dell’ordine». C’era anche quando a Treviso la viabilità venne rivoluzionata: «Non potrò mai dimenticare la notte in cui cambiammo la segnaletica verticale e orizzontale per fare il put. Lavorammo per ore, alle luci dell’alba eravamo pronti. I trevigiani rimasero stravolti dalla novità. All’inizio non la presero bene: ho bene impressi nella memoria tutti gli “accidenti” che ci rivolsero. Non fu facile, ma oggi nessuno tornerebbe indietro. Cosa è cambiato nel modo di guidare dei trevigiani? L’abuso di alcol c’è sempre stato, a peggiore la situazione è stato indubbiamente l’uso del telefonuino al volante.». 
E poi altra svolta: le pistole ai vigili. «Quando arrivarono le pistole d’ordinanza ci furono alcune voci contrarie, anche tra di noi. Io, che prima di entrare nella Polizia locale avevo lavorato per alcuni anni nella vigilanza privata con Compiano, ero già abituato a fare servizio con un’arma. Altri colleghi invece dovettero fare i conti con la novità. Adesso la pistola fa parte dell’attrezzatura per la difesa personale e dei cittadini, tutti sono perfettamente addestrati con la speranza di non doverla usare mai. Io non sono mai nemmeno arrivato al pensiero di dover estrarre la pistola. E, a quanto ne so, lo stesso vale anche per tutti gli altri».

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