Bazzichetto, l'imprenditore che esporta murrine e arazzi nel mondo: «Poca manodopera? Affianco ai giovani come maestri operai senza lavoro»

Lunedì 15 Aprile 2024 di Edoardo Pittalis
Andrea Bazzichetto

VENEZIA  - Il problema della manodopera che non si trova, Andrea Bazzichetto l'ha risolto con un'idea originale, nuova e antica assieme. Per la produzione dei suoi arredi in vetro venduti in tutto il mondo ha assunto una decina di giovani dai 20 a 25 anni e una decina di operai esperti con più di 55 anni, tra quelli rimasti senza lavoro. Gli ultimi devono trasmettere alle nuove generazioni il mestiere e i valori dell'azienda, la Henry Glass di Mansuè nel Trevigiano.

Bazzichetto, 54 anni, di Oderzo, trova anche il tempo per fare il presidente nazionale della EdilegnoArredo, per cantare nel coro Alpino opitergino e per andare ogni anno con la moglie Michela a Lourdes, accompagnando i malati sui treni Unitalsi nei viaggi della speranza. Il fratello Pier Paolo è l'abate del Duomo di Oderzo. Insomma, è un imprenditore in qualche modo speciale che unisce la fabbrica e il volontariato, il passato e il futuro. La Henry Glass produce vetrate artistiche decorate e inserite nelle abitazioni. Cinquanta dipendenti, 8 milioni di fatturato, un mercato internazionale, un salone espositivo nel cuore di Milano, lo show rom a Portobuffolè. La storia della fabbrica incomincia nel 1988 a Motta di Livenza dalla società tra l'impresario edile Enrico Bazzichetto e l'insegnante di educazione artistica Enrico Anzanello intenzionati a estendere le vetrate artistiche veneziane alle abitazioni e non più soltanto ai grandi edifici.

Ha respirato sin da bambino l'aria della fabbrica?
«Ho avuto un'infanzia felice, con mamma Ornella e i nonni materni, vivevamo in mezzo alla campagna, a San Vincenzo alla periferia di Oderzo. Spesso con papà andavo nei suoi cantieri e questo ha aiutato la mia passione per il lavoro manuale. Le superiori, come geometra, al collegio Dante di Vittorio Veneto dove vivevo in seminario con mio fratello. A 14 anni lontano da casa tutta la settimana: sono stati i cinque anni formativi più importanti anche perché il seminario ti aiuta a capire che uomo vuoi diventare. Dovevo fare il militare e ho scelto di fare il servizio civile presso la "Nostra Famiglia" di Conegliano che si occupava dell'infanzia disabile in età scolastica. Un'esperienza umana forte e bella, tanto che prima del congedo mi è stato offerto di occuparmi del nuovo centro per adulti a Oderzo dove ho lavorato sino al 1995. Ho pensato che non potevo lavorare con mio padre se lo vedevo solo come papà, dovevo prima raggiungere una mia autonomia. Nel frattempo mi ero sposato con Michela e due anni dopo siamo diventati genitori di Anna che è nata con una grave malformazione cardiaca ed è morta dopo pochi mesi; la seconda figlia Mara, che oggi ha 28 anni, si è laureata in lingue a Venezia e dopo un'esperienza all'estero segue per noi il mercato internazionale».

Come è stato l'ingresso nell'azienda paterna?
«La mia avventura incomincia il 5 giugno del 1995. L'azienda aveva un mercato locale, era il momento di premere sulla innovazione tecnologica. Il mio è stato un ingresso molto ragionato e anche atteso: ci sono voluti sei mesi prima di avere l'ok, papà diceva che dovevo essere un esempio per gli altri. Il 1997 è stato l'anno focale: abbiamo brevettato la prima porta tutta vetro, possibile da fare su scala industriale e abbiamo sfondato l'anno dopo in Fiera a Bologna. L'azienda era talmente innovativa che il successo delle porte scorrevoli ci ha obbligato a trasferirci in una sede più spaziosa».
Poi si è ritrovato tutto il peso sulle spalle
«Era il 2005, mio padre mi chiama nel suo ufficio e mi dice che gli hanno diagnosticato un cancro incurabile. Ha continuato a venire in azienda, poi nel 2009 a 63 anni ci ha salutato. A quel punto dovevo prendermi tutto il peso dell'azienda, ero già l'amministratore delegato, era necessario proseguire nel processo di crescita: ho fatto una holding di famiglia e ho acquistato una ulteriore quota di azioni. Da qui si apre un'altra storia: l'azienda esce da una dimensione artigianale e trova il suo spazio internazionale. Fondamentale l'incontro con l'architetto Nicola Galizia che ha colto appieno le necessità del nostro mercato e dopo pochi anni ci ha consentito di presentare la nuova Henry Glass, anche con un linguaggio comunicativo contemporaneo. Abbiamo aperto il primo negozio a Milano, nel 2022 abbiamo esposto i nostri prodotti al Salone del Mobile nei due padiglioni che rappresentano il Design italiano ed è stata una enorme soddisfazione. Abbiamo lavorato da subito con artisti italiani: dalla veneta Bonfanti ai milanesi Emilio Tadini, Bruno Munari, Alessandro Mendini, Afra e Tobia Scarpa ai quali si sono aggiunti Ugo Nespolo e Riccardo Dalisio. È nata così la "Collezione Vetro Veneto" nella quale abbiamo sperimentato la possibilità di soluzioni nuove: dalle murrine all'arazzo portati all'interno di una vetrata e di una porta scorrevole con vetro per l'abitazione».

È complicato fare il presidente nazionale?
«L'aspetto associativo è sempre stato presente, prima in Confindustria Treviso, poi a livello nazionale con la Edilegno Arredo nella quale rappresentavo il gruppo Porte. Dico sempre che l'associazionismo va bene se ti lasci coinvolgere e io mi sono fatto coinvolgere fino alla presidenza nazionale. Questo è un settore legato in maniera strettissima a quello dell'edilizia che alla base di tutto e oggi c'è il grande problema del bonus e di quello che vuole fare il Governo. Se prendono un bonus le aziende si reinventano, si riprogrammano; ma se tutto cambia in un attimo l'incertezza può avere conseguenze disastrose».

È più facile cantare nel coro Alpino?
«La musica è un'altra passione, da piccolo ho fatto l'istituto musicale suonando l'ottavino e il flauto traverso, ma un po' controvoglia. Alle medie ho avuto la possibilità di suonare nella banda di Oderzo ed è cambiato tutto. In seminario ho avuto le basi di una cultura musicale classica. Da sposato ho diretto il coro piccolissimo della mia parrocchia, poi siamo entrati nella corale del Duomo di Oderzo. Quando il maestro Claudio Prevedel, che dirige anche il coro Ana, nel 2014 mi ha chiamato, è stato il coronamento di un sogno: per noi gli Alpini, il Piave, la Grande Guerra erano il racconto dei nonni. Ho il cappello con la piuma, chi ha fatto il servizio civile viene ammesso come Alpino onorario».

E l'esperienza dei viaggi a Lourdes?
«Parte da un fatto personale che mi ha segnato: nel 1979, a nove anni, ero in un cantiere con mio padre, i cantieri sono pericolosi, sono finito sotto un camion in movimento e sono rimasto ferito a un piede. I miei avevano programmato di festeggiare i loro 10 anni di matrimonio proprio a Lourdes dove erano stati in viaggio di nozze. Siamo andati ugualmente, io in carrozzina, ed è stata un'esperienza particolare: per la prima volta ho visto i barellieri e le "sorelle", tutti i volontari che aiutano i malati. Non capivo di cosa si trattasse, ma ero contento perché essendo in carrozzina mi facevano passare sempre avanti. Nel 1984 sono tornato a Lourdes con l'Unitalsi ed è rimasto un legame molto forte. L'ho ripetuto con Michela e la nostra avventura Unitalsi non si è mai interrotta, oggi presiedo l'Unitalsi di Vittorio Veneto. Anche questo ha contato nella mia scelta del lavoro con la "Nostra Famiglia". Un'esperienza fantastica che mi ha pure permesso di laurearmi in Scienza della formazione».

Cosa vuol fare da grande?
«È molto difficile oggi per me capire cosa fare da grande. Mi ritengo un uomo fortunato, sia perché faccio qualcosa che mi piace, sia perché lavoro con mia moglie che compensa quello che a me manca e mi piace che anche nostra figlia si sia integrata. Ho un grandissimo hobby, il camper: lo uso per lavoro e ci passo anche le vacanze».
 

Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 10:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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