Spetta soltanto allo Stato legiferare in materia di «sicurezza primaria», che consiste nell'attività di prevenzione e repressione dei reati, primariamente affidata alle forze di polizia. Alle Regioni è invece consentito prevedere interventi a sostegno della cosiddetta «sicurezza secondaria», in particolare mediante azioni volte a rafforzare nel contesto sociale una cultura della legalità, nonché a rimuovere le condizioni nelle quali possono svilupparsi fenomeni di criminalità. Lo sostiene la Corte costituzionale nella sentenza depositata oggi con la quale ha dichiarato incostituzianale la legge della Regione Veneto sul «controllo di vicinato» perchè viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico.
A farne le spese soprattutto la città metropolitana di Venezia dove sono già attivi 178 gruppi e altri sono in formazione "coordinati" dal consigliere comunale delegato Enrico Gavagnin, ispettore della Polizia di Stato, che si avvale di uno staff di volontari molto affiatato.
Il niet costituzionale
La legge regionale n. 34 del 2019, annullata dalla Consulta, si proponeva l'obiettivo di promuovere e regolare il «controllo di vicinato», sostenendone in vario modo le attività e istituendo una banca dati per il monitoraggio dei suoi risultati.
Con la sentenza di oggi 12 novembre - la n. 236 (redattore Francesco Viganò) - la Corte ha tuttavia precisato che nulla vieta alla legge statale di disciplinare direttamente il fenomeno del «controllo di vicinato», già oggetto, del resto, di numerosi protocolli di intesa tra prefetture e comuni, in varie di parti del territorio nazionale. E ciò nell'ottica - riconducibile al principio di «sussidiarietà orizzontale» sancito dall'articolo 118 della Costituzione - di partecipazione attiva e responsabilizzazione dei cittadini rispetto all'obiettivo di una più efficace prevenzione dei reati, attuata attraverso l'organizzazione di attività di supporto alle attività istituzionali delle forze di polizia.