Fecondazione assistita, scandalo cancellato

Martedì 3 Dicembre 2019
Fecondazione assistita, scandalo cancellato
LA SENTENZA
PADOVA Come già a livello penale, anche sul piano contabile finisce in prescrizione lo scandalo della fecondazione assistita a Padova. Con una sentenza depositata nei giorni scorsi, la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti ha respinto la domanda di risarcimento formulata dalla Procura regionale nei confronti dei ginecologi Antonio e Guido Ambrosini. Padre e figlio erano accusati di aver causato all'Azienda Ospedaliera un danno patrimoniale di 440.894,57 euro, per l'omesso incasso dei corrispettivi per le prestazioni di inseminazione artificiale, effettuate però fino al 2010 e dunque ormai prescritte, anche per colpa di una raccomandata consegnata tramite il corriere Tnt anziché le Poste.
LA VICENDA
L'indagine condotta dal viceprocuratore Giancarlo Di Maio si era basata anche sugli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza e sulle verifiche compiute dal servizio ispettivo sociosanitario del Consiglio regionale. All'81enne Antonio Ambrosini, direttore della Clinica ginecologica e ostetrica dal 1997 al 2009 e difeso dall'avvocato Luca Donà, era stato contestato di aver saputo fin dal 2003 che la procreazione medicalmente assistita prevedeva tariffe di 400 euro per la tecnica Fivet e di 700 per la Icsi. Al 52enne Guido Ambrosini, direttore della struttura di Fisiopatologia della riproduzione umana dal 2007 e difeso dagli avvocati Cesare e Alessandro Janna, era stata addebitata l'analoga inottemperanza alle direttive aziendali. In sostanza i due medici erano accusati di aver fatto pagare alle pazienti solo il ticket di 36 euro, causando un notevole mancato introito alle casse pubbliche, dato che erano state erogate 497 Fivet e 440 Icsi.
LE MOTIVAZIONI
I giudici contabili hanno però accolto le eccezioni sollevate dalle difese, a cominciare da quella sulla prescrizione, particolarmente evidente nel caso di Guido Ambrosini. La lettera con cui l'Azienda Ospedaliera nel 2013 dichiarava la costituzione in mora era stata affidata non al servizio postale pubblico ma alla ditta privata Tnt, che l'aveva infine restituita al mittente, in quanto non aveva trovato a casa il destinatario. Come scrive la Corte, «la presunzione di conoscenza di un atto - del quale sia contestato il suo giungere a destinazione - non opera con la consegna del relativo avviso di giacenza qualora trattasi di corriere privato», in quanto quest'ultimo «è sprovvisto della qualifica di pubblico ufficiale e la sua attività non consente, in assenza di prova dell'avvenuta conoscenza, il perfezionamento del procedimento di notifica». Tradotto: la prescrizione non venne validamente interrotta, quindi dai fatti sono passati più di cinque anni, troppi per chiedere ora il risarcimento.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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