Yacht come case o case come yacht? Esperti a confonto al Politecnico di Milano sul design nautico

Ribelle di Paola e Salvatore Trifirò. Una delle barche più innovative costruite negli ultimi anni
MILANO - Barche come case o case come barche? Attorno a questo interrogativo si è svolta la seconda edizione della Italian Yacht Design Conference, organizzata dal...

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MILANO - Barche come case o case come barche? Attorno a questo interrogativo si è svolta la seconda edizione della Italian Yacht Design Conference, organizzata dal Politecnico di Milano con la collaborazione di Boero Yacht Coatings e il contributo scientifico del professor Andrea Ratti e del giornalista Antonio Vettese.


Un tema di grande interesse, vista la forte contaminazione in atto tra il design nautico e l’interior design dedicato alle abitazioni. Non mancano, in proposito, esempi concreti di scelte strategiche mirate proprio alla sintesi tra le due realtà: tra i più recenti, la decisione di un cantiere leader come Azimut-Benetti di affidarsi, per gli interni di alcuni dei suoi yacht, all’architetto Achille Salvagni, entrato nella hit dei 100 designers più importanti del mondo per aver firmato alcune delle più note residenze di New York, di Londra e di altre importanti città del mondo.

Salvagni non era presente alla conferenza di Milano, ma in rappresentanza di Azimut è intervenuto Federico Lantero, il quale ha illustrato il percorso e la conquista del rapporto con la luce e la natura che è una delle linee guida seguite dal cantiere negli ultimi anni, fino ad arrivare a finestre che corrono dal pavimento al soffitto e alle geniali soluzioni firmate da Francesco Guida, recentemente entrato nella squadra dei designers ingaggiati dalla famiglia Vitelli per collaborare con il capo della progettazione Stefano Righini.

Carlo Nuvolari, dello studio Nuvolari&Lenard, ha aperto invece la sessione pomeridiana dei lavori dedicata al tema delle “Nuove identità per il prodotto nautico”. Tema altrettanto interessante, su cui si sono intrattenuti anche Andrea Vallicelli, Giovanni Ceccarelli, la designer Ivana Porfiri, il progettista Umberto Felci, Aldo Parisotto e Vittorio Garroni Carbonara.

Davanti a una folta platea costituita in buona parte da studenti del Politecnico di Milano, ma anche da professionisti del settore, imprenditori e giornalisti, tutti gli esperti interventi hanno parlato della contaminazione tra case e barche partendo dalle origini storiche. Si è parlato dunque di barca come strumento di trasmissione culturale, scoperta, così come è vista dagli storici e dalle civiltà che ci hanno preceduto, e di casa come luogo di protezione e comfort, come residenza degli oggetti che sono stimolo e ricordo. E da qui si è sviluppato il (vecchio) dibattito tra forma e funzione in cui si inserisce con prepotenza il marketing fino a costruire nuove motivazioni d’acquisto.

Sugli schermi dell’Aula Castiglioni si sono avvicendate le immagini delle barche e navi più interessanti, che hanno rappresentato e rappresentano quanto sta succedendo nel design italiano contemporaneo, che ancora gode di un vantaggio in termini creativi, contribuendo al successo del Made in Italy nel mondo. Un successo che potrà continuare a lungo se la scuola italiana di design si alimenterà di nuove risorse, come ha ricordato la preside della Scuola del Politecnico, Luisa Collina, sottolineando la valenza che hanno per l’istituto il Master in Yacht Design e la sperimentazione che viene continuamente condotta.

Il più strenuo difensore della salvaguardia del confine tra barca e casa è stato forse Andrea Vallicelli, il quale ha posto un invito all’industria nautica per conservare i contenuti che sono tipici del mare. In sintonia Lamberto Tacoli, Ceo di Perini Navi e presidente di Nautica Italiana, il quale ha centrato la sua relazione sulla fedeltà del marchio Perini al concetto di nave che conserva le sue caratteristiche estetiche e funzionali e che cattura l’occhio e convince della sua marinità anche per questo. In qualche modo vicino alle tesi di Vallicelli e Tacoli, il parere di Umberto Felci, che con una certa ironia ha raccontato il difficile rapporto tra ciò che trova a bordo di certe barche di serie e la sua mano di esperto velista. Agli antipodi la posizione di Marjiana Radovic e Marco Bonelli di M2Atelier, studio che si occupa in maniera estensiva di design e architettura tradizionale e che interviene nelle barche portando un forte contenuto di contaminazione.

L’architetto Sergio Buttiglieri di Sanlorenzo Yacht ha illustrato il percorso di intensa collaborazione avviato con grandi designer e in particolare con Piero Lissoni, occupatosi dei lavori più recenti, quelli che hanno dato una spinta significativa all’innovazione stilistica del cantiere guidato da Massimo Perotti. Dell’esigenza di battere con costanza sull’innovazione ha parlato anche Ivana Porfiri, mentre Giovanni Ceccarelli si è intrattenuto sulle sue esperienze più recenti, soffermandosi sulla realizzazione di carene particolarmente performanti e sull’uso delle tecnologie più avanzate e dei dislocamenti leggeri per prestazioni che non sono per vincere in regata, ma per il piacere della crociera.

Federico Peruccio ha illustrato il percorso di Monte Carlo Yacht puntando su un aspetto un po’ diverso: in questo caso, al di là delle contaminazioni tra case e barche, si è dovuto lavorare sulla personalità e riconoscibilità di imbarcazioni nuove, frutto del lavoro di un cantiere giovane, con l’esigenza di farsi conoscere e apprezzare partendo da zero.

Barbara Amerio, proprietaria del gruppo Permare che produce le imbarcazioni Amer, e componente del consiglio direttivo di Ucina, ha sottolineato il lavoro di ricerca e colloquio con gli armatori, che “per scelta” sono pochi ogni anno. Insomma, il trionfo delle produzioni custom, mirate ad assecondare gusti ed esigenze del cliente/armatore.


Particolarmente apprezzato dal pubblico è stato l’intervento di Paola Siniramed Trifirò, armatrice di Ribelle, una delle barche più innovative costruite negli ultimi anni: 33 metri dedicati alle alte velocità con interni del designer francese Remi Tessier. «Abbiamo voluto una barca per vincere le regate per i maxi – ha raccontato Trifirò – ma che avesse tanta luce e ci consentisse di vivere al mare senza il desiderio di essere a terra. Abbiamo di tutto per essere autonomi ma non rinunciamo alle cose che ci piacciono a casa». Parole che sono risuonate nell’aula del Politecnico come sintesi perfetta della conferenza. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino