Francesca Clapcich, prima italiana a vincere l'Ocean Race: «Le mie vele volano in cima al mondo»

La campionessa triestina: «Ora sogno un nuovo IMOCA 60 per partecipare nel 2028 al Vendée Globe, il giro di tutti i mari da sola e senza scali»

Mercoledì 26 Luglio 2023 di Francesca Lodigiani
Francesca Clapcich, vincitrice all'Ocean Rice

Francesca Clapcich, 35 anni, triestina, segno zodiacale Acquario, velista a tutto tondo, è la prima italiana ad aver vinto il Giro del Mondo a tappe, erede della leggendaria Whitbread Round The World Race nata nel 1973, diventata poi Volvo Ocean Race, oggi semplicemente The Ocean Race.

Barche italiane in gara, specie nel passato remoto, l’epoca dei Pascoli, dei Falck, dei Malingri, dei Maisto, ce ne sono state. Così come ci sono stati singoli italiani su barche in equipaggi internazionali. Ma nessun azzurro, uomo o donna, ha mai fatto parte del team della barca vincente. Francesca sì. Questa soddisfazione l’ha avuta al suo secondo Giro – il primo era stato nell’edizione 2017/2018 con Turn the Tide on Plastic - come uno dei quattro membri attivi di 11th Hour Racing Team, IMOCA 60 Foiling, incoronato a Genova. La prima volta in 50 anni in cui il Giro si conclude in Italia. Francesca Clapcich agonisticamente nasce sulle derive e ha due Olimpiadi alle spalle. Londra 2012 in Laser Radial, dove chiude 19°, e Rio de Janeiro 2016, quando con l’acrobatico 49er FX sfiora la medaglia a prua di Giulia Conti, una grande amica, piazzandosi 5°.

Poi passa alla vela oceanica in equipaggio, ma anche in solitario, prendendo parte nel 2021 alla tostissima Solitaire du Figaro in Nord Europa. Francesca è sposata con Sally Barkow, velista americana, già olimpionica in Yngling, conosciuta nel 2017 durante il suo primo Giro, e mamma di Harriet, che aveva 6 mesi quando lei si è imbarcata ad Alicante su 11th Hour Racing Team lo scorso gennaio e che l’ha accolta felice all’arrivo a Genova. L’abbiamo “incontrata” in video mentre a neppure un mese dalla fine del Giro sta navigando da Cherbourg verso la Manica per partecipare insieme al torinese Alberto Bona con il Class 40 Ibsa alla 50° edizione della mitica Fastnet Race.

L’emozione di vincere, prima italiana, il Giro del Mondo?

«Molto particolare. Alla partenza della tappa l’Aja-Genova avevamo avuto una collisione causata da un altro concorrente che ci aveva costretti a tornare a terra per fare le riparazioni e raggiungere Genova almeno per l’ultima prova Inshore che, come ciliegina, abbiamo vinto. Eravamo a 10 miglia da Genova quando ci è arrivata la telefonata che la Giuria Internazionale ci aveva concesso punti di “riparazione” per l’incidente. Non sapevo di essere la prima persona italiana ad aver vinto il Giro, anzi ho chiesto se fossero sicuri».

Prossimi piani e obiettivi?

«Il sogno sarebbe un nuovo IMOCA 60 per partecipare nel 2028 al Vendée Globe, il Giro del Mondo in solitario senza scalo. Come obiettivo c’è anche un team italiano per la prossima Ocean Race. In Italia abbiamo tutto: ingegneri, cantiere, tecnologia, know how, passione, competenza. Il budget però è da 10 milioni…».

Ha vissuto tante “vele”, olimpica, solitaria col Figaro, oceanica con il Giro del Mondo, quale è la vela che sente più sua?

«La verità è che rifarei tutto nello stesso modo. L’esperienza vissuta mi ha reso la velista che sono oggi in termini di determinazione e etica del lavoro. La vela olimpica significa tanto lavoro, tante sconfitte. Le vittorie le scrivi sul cv, ma sono poche. L’Oceano oggi è il posto che preferisco con le sue componenti di avventura e gestione della barca. In mezzo all’Oceano sono contenta».

Lei è di Trieste, patria della Barcolana, città di mare e di bora. Come è entrata la vela nella sua vita?

«Ha sempre fatto parte della mia vita. A due mesi i miei mi hanno portato in barca sistemandomi in una culletta appesa, così se la barca sbandava, la culletta accompagnava il movimento. Ho le foto. Non è stato però un amore a prima vista. Mi piaceva tanto lo sci e a 5, 6 anni in Optimist, col vento di Trieste avevo un po’ paura. Poi la passione è arrivata insieme all’obiettivo da perseguire».

Gli “ingredienti” per entrare e viver bene in un team internazionale di Giro del Mondo?

«Lavorare molto sulla comunicazione, sul lavoro di squadra, unire le forze, indipendentemente dalla lingua, da cosa mangi, da dove arrivi».

Quanto può essere pericoloso fare una Ocean Race, specie nelle latitudini del Grande Sud? Ha avuto mai paura?

«Questa volta il Sud è stato tranquillo, venti leggeri, non come l’edizione precedente in cui abbiamo avuto burrasca continua tra la Nuova Zelanda e il Brasile via Capo Horn. Certo il rischio c’è sempre, anche di rompere qualcosa, ma io non ho mai avuto paura. Più rispetto per gli elementi, che paura. La preparazione, anche tecnologica, fa ridurre la paura. Se ti senti preparato, ti senti in grado di affrontare le cose. Consapevole che il mare è sempre più forte di noi, dei puntini rispetto a lui».

Come e cosa si mangia in una Ocean Race?

«Tanto cibo liofilizzato, 3 volte al giorno, da far rinvenire in acqua bollente. Poi snack con barrette, frutta secca e…Nutella. Le giornate sono lunghe e ci vuole un po’ di piacere».

Come si convive con lo spazio ridotto? C’è rumore?

«Il rumore è assordante, sia quello dello scafo di carbonio attraverso l’acqua, che quello dei foil sull’acqua. Per riposare ci vogliono i tappi, ma ci si abitua. In condizioni “tranquille” i turni sono di 4 ore. In due di guardia, due a riposo. Altrimenti si accorciano a 2 ore. Si lo spazio è ristretto, ma siamo tutti bravi velisti e buoni amici».

Come si conduce un IMOCA 60?

«Da dentro, e quindi con meno esposizione agli elementi. Si usano timoni automatici di ultima generazione. La barca si porta come si fa con l’aereo: un cockpit con computer, tasti e bottoni» .

La scansione del tempo a bordo. Cosa si fa? Lettura, musica, riflessione. E il training fisico?

«Non si legge. Quando sei off, mangi, dormi, ti riposi. Io sento musica. Ho di tutto, un caos, da classica, a pop, rock, elettronica. Vado secondo il mood. Quanto al training fisico, molto allenamento prima, perché in navigazione si perde tanto».

Come sta l’Oceano?

«Non benissimo. Sotto costa tanti rifiuti che documentano la maleducazione umana. Ci sono iceberg più a nord rispetto a 4 anni fa e i dati forniti dagli strumenti di bordo su microplastiche, salinità, ph e temperatura non troppo buoni».

Vita privata. Lei è sposata con Sally Barkow, una velista americana, e ora avete una bambina, Harriet, che ha compiuto 1 anno a metà giugno. Lasciare a terra la famiglia, di origine o attuale: come si affronta?

«Sally ha fatto la mia stessa vita e ora è Team Leader della squadra olimpica USA. Parliamo tantissimo di tutto, compreso delle mie idee matte. Anche per far capire a Harriet che c’è un mondo là fuori, ci sono altri Paesi, altri gusti, altre lingue. Che si possono avere sogni grandi. La portiamo ovunque. Per Sally che resta a terra da sola è più difficile, lei fa i salti mortali. Per me adesso è più difficile rispetto a mesi fa, perché ora Harriet capisce quando sto per partire, ha un sesto senso quando vede la borsa, gli stivali da barca ai piedi…».

Dove è casa oggi per Francesca Clapcich?

«Negli Stati Uniti, nello Utah. Ci siamo sposate lì, andiamo a casa dopo i viaggi matti. Un paio di settimane ogni 2, 3 mesi. Lì c’è tanto da fare all’aperto, sci, passeggiate, vita nella natura». L’America’s Cup è nel Suo radar? Magari la nuova Women AC? «Sarebbe bello. Se arriva l’occasione…».

Ultimo aggiornamento: 27 Luglio, 06:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA