L’editoriale/ Il sangue porta la paura nelle urne

Giovedì 16 Maggio 2024 di Vittorio Sabadin

L’attentato a Robert Fico getta sull’Europa un’ombra cupa a tre settimane dal voto per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo.

C’è grande preoccupazione per eventi che sempre di più sfuggono al nostro controllo: la guerra in Ucraina, quella in Medio Oriente, e ora i tre-quattro colpi di pistola contro il leader di uno stato dell’Unione, la Slovacchia. Era accaduto una sola volta 38 anni fa, quando fu ucciso davanti a casa, mentre tornava dal cinema, il premier svedese Olaf Palme. Ma allora il mondo sembrava molto più tranquillo, oggi è un ribollire di crisi che non si spengono, che dividono,  che mostrano tutta l’impotenza delle organizzazioni internazionali create per risolverle. Nel mondo occidentale c’è la sensazione che il lungo periodo di benessere e di pace cominciato alla fine della Seconda Guerra Mondiale sia giunto storicamente al termine. Il timore per il presente e l’incertezza per il futuro alimentano l’estrema destra, il populismo e le spinte sovraniste, e fanno crescere lo scetticismo sulle possibilità dell’Unione europea di soddisfare le aspettative. Aumenta così la popolarità dei leader che si propongono come la soluzione di tutti i problemi, in cambio di qualche rinuncia alle libertà e ai diritti democratici.

 L’ascesa di Fico è stata simile a quella di altri leader populisti e nazionalisti, frutto del risentimento generato in decine di milioni di europei dalle delusioni di questo inizio di secolo. Secondo recenti sondaggi, i partiti anti-sistema, in maggioranza di destra, sono oggi primi in nove Paesi europei e secondi o terzi in altri nove. Fico ha costruito il suo successo seguendo il vento come ogni populista: comunista prima, all’estrema destra poi; europeista, quindi nazionalista anti-occidentale e anti-europeo; contrario alle mascherine e alle vaccinazioni, e infine amico di Vladimir Putin e del leader ungherese Viktor Orbán. Il suo no all’invio di armi all’Ucraina ha mobilitato una residua minoranza in Slovacchia che teme di vedere, se Kiev cadrà, i carri armati di Putin ai confini del Paese, o magari davanti a casa. La linea difensiva euroatlantica passa ora lungo i confini di Slovacchia e Romania, e proprio la Slovacchia, politicamente molto instabile, rischia di essere l’anello debole dell’alleanza.

 Nel 2021, quando la Russia ammassava truppe ai confini dell’Ucraina, qualche anziano statista ammoniva che l’Europa era in pericolo. Ma nessuno allora lo pensava davvero: Putin faceva così, si diceva, solo per ottenere più concessioni. Anche in Medio Oriente tutto sembrava tranquillo e c’era l’impressione che la questione palestinese si sarebbe prima o poi risolta da sola. L’esplodere delle due guerre ha spazzato via il velo che copriva i problemi, e l’esecrabile attentato a Fico, se ha come sembra una matrice politica, ci costringe a guardare alla realtà delle crescenti divisioni che paralizzano l’Unione. L’Europa è troppo lenta per il mondo contemporaneo. Come può avere un peso internazionale mantenendo la regola dell’unanimità che la costringe a lunghe trattative e a compromessi? E l’unità quanto durerà? Se gli Stati Uniti riducono il sostegno a Kiev o se in novembre verrà eletto Donald Trump, che cosa faremo? Sappiamo fino a dove siamo disposti ad arrivare per impedire che Putin vinca la guerra e decida poi magari di invadere altri stati sovrani? In Medio Oriente le ambiguità europee non sono di minor peso. Siamo il maggior fornitore di finanziamenti all’Autorità nazionale palestinese e di aiuti ai palestinesi, e il principale partner commerciale di Israele. Avremmo dunque gli strumenti per indirizzare le scelte, ma non li usiamo per non mettere a nudo le divisioni che ci paralizzano: oltre a qualche invito alla tregua, attentamente calibrato nella forma, non riusciamo ad andare.

 L’Unione europea è stata un grande sogno mal congegnato, che ha bisogno di profonde riforme per compiersi. La violenza che è entrata in modo così drammatico nel suo territorio e nella sua storia può spingere a superare più in fretta gli ostacoli, oppure può accelerarne la fine. Dipenderà anche dal voto di giugno, al quale andranno purtroppo pochi elettori, sconcertati, impauriti e depressi dalla vacuità dei discorsi che ascoltano nei dibattiti politici, nei quali di solito si parla d’altro. L’attentato a Fico può cambiare ora la campagna elettorale, costringendo i candidati a concentrarsi sulle cose concrete. Ma evidenzia anche come l’incolumità dei politici sia sempre più precaria, non più garantita dal loro status e dal ruolo che hanno assunto, ma sottoposta a variabili che nessuno controlla più, come il mondo nel quale viviamo.

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Ultimo aggiornamento: 00:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA