Patto di stabilità, la strategia dietro l’astensione italiana all’Europarlamento: «Modifiche con la nuova Commissione»

A disconoscere le regole fiscali che prenderanno il posto di quelle sospese prima della pandemia, c'è infatti un fronte compatto costituito dall'intero arco parlamentare

Mercoledì 24 Aprile 2024 di Francesco Malfetano
Patto di stabilità, la strategia dietro l’astensione italiana all’Europarlamento: «Modifiche con la nuova Commissione»

Più apocalittici che integrati, ma in ogni caso acquattati in attesa delle Europee. L'astensione italiana all'euro-voto sul nuovo Patto di Stabilità è il riassunto romanzato della politica nostrana tra Bruxelles e Strasburgo.

A disconoscere le regole fiscali che prenderanno il posto di quelle sospese prima della pandemia, c'è infatti un fronte compatto costituito dall'intero arco parlamentare: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Partito democratico, Movimento 5 stelle e centristi. Ognuno con le proprie motivazioni ha cioè cercato di non lasciare impronte digitali sul Patto, fatta eccezione per Lara Comi (FI) e Herbert Dorfmann (Svp) per il gruppo del Ppe, e Marco Zullo (Renew) e Sandro Gozi, italiano di Renew peraltro eletto in Francia con Renaissance.

Che il testo fosse divisivo d'altro canto non è una novità (così come non è il risultato, dato che la stessa situazione si è già proposta per il patto di Migrazione e Asilo). La mossa sembra ad esempio studiatissima da Giorgia Meloni che, al di là dei tentativi di sbracciare, sul punto è finita nel frullatore creato dalla proposta della Commissione e i veti dei Paesi “frugali” del Nord Europa.

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Tant'è che dopo averlo definito in prima battuta «migliorativo», capace di liberare «35 miliardi aggiuntivi» per l'Italia e in grado di «superare l'austerità cieca» a margine delle trattative, è passata già da qualche settimana a cannoneggiarlo definendolo «miglior accordo possibile alle condizioni date». Da qui la scelta di astenersi e promettere per il post-voto (e con una nuova Commissione) «una modifica sostanziale del Patto». Una revisione, si legge in una nota dei due meloniani europei Nicola Procaccini e Carlo Fidanza, «che tenga conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri attraverso un approccio che vada nella direzione di una maggiore flessibilità».

Più o meno la stessa situazione in cui si sono ritrovati anche Lega e FI. Con le aggravanti per il Carroccio di aver disconosciuto la trattativa portata avanti dal “suo” ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti («L’hanno sfiduciato» la tesi delle opposizioni), e per Forza Italia che contraddice la famiglia europea del Ppe. «Perché va bene così», liquida la faccenda a margine della plenaria la vice capo-delegazione Alessandra Mussolini.

L’OPPOSIZIONE

Non che all'opposizione se la passino meglio. Il Partito democratico ad esempio, per non vedersi addossare un'approvazione che con buona probabilità costerà nuovi sacrifici agli italiani, finisce con il votare contro al gruppo del Pse e soprattutto al commissario Paolo Gentiloni. L'ex premier che non solo mette la firma sotto al Patto ma lo definisce anche «un buon compromesso», finendo in rotta di collisione con la nota del Pd che motiva l'astensione a Stasburgo con le modifiche «eccessivamente peggiorative» apportate rispetto alla proposta della Commissione. I dem del resto, schiacciati a sinistra dal voto contrario espresso da ciò che resta del M5s europeo (dai 14 eletti iniziali, ne sono rimasti 5), in ottica elettorale non hanno avuto grossi margini di interpretazione.

A completare il quadro ci sono poi i distinguo all'interno dei centristi di Renew Europe: Fabio Massimo Castaldo ha votato contro, mentre Nicola Danti si è astenuto. Sarebbe difficile immaginare una fotografia più rappresentativa della situazione romana attuale. Un'opera aperta in attesa del voto dell'8 e 9 giugno.

Ultimo aggiornamento: 14:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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