Quarant'anni dal giorno del blitz: la liberazione di Dozier, fine dell’incubo

Venerdì 28 Gennaio 2022 di Adriano Favaro
Il generale James Lee Dozier, alcuni anni fa ospite dell'allora Capo della Polizia, al Viminale

PADOVA - Via Pindemonte 2, quartiere Guizza. Lo schiacciasassi copre ogni rumore, davanti al supermercato mentre arriva il furgone dei traslochi e scendono uomini in tuta mimetica con passamontagna. «Siamo della polizia» dicono ai clienti bloccati all’interno. Otto uomini puntano ad un appartamento dove è prigioniero il generale americano James Lee Dozier, 50 anni; rapito a Verona il 17 dicembre dell’anno prima.
In quella mattinata del 28 gennaio 1982, Dozier è liberato e i 5 brigatisti rossi arrestati: si chiamano Libera, Pancelli, Di Lenardo, Frascella. Il loro capo, il romano Antonio Savasta (l’assassino di Taliercio) si dichiara pentito quasi subito; le sue confessioni porteranno in carcere circa duecento persone. In totale dopo la liberazione di Dozier saranno presi 965 tra brigatisti e fiancheggiatori. È l’inizio della fine di un fenomeno che aveva colpito l’Italia per quasi vent’anni, la più lunga esperienza di violenza mai registrata in un paese europeo.
Padova capisce che sta uscendo dall’incubo cominciato negli anni Settanta, tra guerriglia urbana, devastazioni, assalti a caserme, rapine, gambizzazioni, esplosioni, danneggiamenti, docenti sprangati; e due persone uccise (1974) dalle Br in via Zabarella. Stava finendo anche lunga notte dei conflitti tra formazioni neofasciste e rivoluzionarie di sinistra.
 

SEMBRAVANO INVINCIBILI
«Il terrorismo in Italia – dirà il giudice Carlo Nordio, magistrato che girava con la pistola in tasca e che ha istruito molti processi alle Br – viveva anche perché c’era uno Stato poco capace di contrasto». Nasce così l’idea che il brigatismo fosse quasi invincibile; alcuni arresti, l’invasione di qualche covo dove terroristi restano uccisi non bastavano a fermare il rosario di sangue che ogni giorno era raccontato dalle cronache. Eppure le Br che catturano facilmente Dozier fingendosi operai dell’acquedotto a Verona devono comprare un libretto per ragazzi per riconoscere i gradi della Nato e dell’esercito Usa. E quando hanno in mano il generale si servono quasi sempre di un vocabolarietto per rimediare al loro inglese stentato. Giudici e giornalisti sbalordirono a queste dichiarazioni: ma davvero sono questi i brigatisti che hanno tenuto in scacco per due decenni uno dei paesi più importanti del mondo Occidentale? «Non mi trattarono male – dirà anni dopo Dozier in visita a Padova - ma rimasi piuttosto sorpreso dall’assoluta ignoranza che manifestarono sulla realtà della Nato e in generale della situazione internazionale».
 

L’OPERAZIONE DEI NOCS
Ci vorranno alcuni anni prima di conoscere i dettagli dell’assalto in via Pindemonte del 28 gennaio 1982. Sarà lo stesso Edoardo Perna, capo dei Nocs di allora a raccontarlo. «Due ore prima avevo fatto una ricognizione con una collega poliziotta, fingendoci una coppia in visita presso uno studio dentistico: sbagliai volutamente porta bussando a quella del covo, capendo che non era blindata e quindi non serviva l’esplosivo. Con noi c’era Salvatore Calcaterra, un campione del mondo di pesi e che in una situazione analoga aveva scardinato un muro con una spallata. Lì fece letteralmente volare la porta. Gli altri elementi del commando erano altrettanti campioni: Carmelo Iani, campione dei pesi massimi, e Preziosi, campione europeo di karate. Entrammo e il brigatista Giovanni Ciucci puntava una pistola silenziata alla tempia di Dozier. A quel punto Preziosi si interpose davanti al generale proteggendolo. Calcaterra intervenne colpendo Ciucci con il calcio della pistola. Il tutto in 50 secondi».
 

IL GRAZIE DEGLI USA
Il presidente americano Ronald Reagan - che aveva reagito con violenza, chiedendo come fosse possibile che “quattro cialtroni” potessero permettersi il lusso di rapire un generale americano - riceverà una telefonata direttamente dal suo generale appena liberato. Poco dopo il presidente Usa chiamerà Sandro Pertini ringraziando gli italiani per la loro capacità; e il nostro Paese si riabilita agli occhi del mondo.
TALIERCIO 
Gabriella, la vedova del direttore del Petrolchimico, ucciso il 5 luglio 1981 dirà al Gazzettino: «È un po’ come fosse tornato mio marito». Il figlio Cesare, allora 18 anni, non riuscirà a nascondere la delusione: «Perché questo non è accaduto anche a mio padre? Perché non sono riusciti a liberarlo allora?». Una domanda che in molti continuano a porsi. «Noi – dirà a chi scrive un commissario di polizia a Mestre – spesso non sapevamo nulla di alcuni brigatisti che magari abitavano a pochi metri dalle nostre caserme. Il Paese non era coordinato, c’erano troppe zone grigie anche ai vertici del nostro sistema».
 

LE INDAGINI
Il generale dei carabinieri Gianpaolo Ganzer ricordava come «l’unico autore veneto del rapimento, Ruggero Volinia, fosse stato identificato e seguito, ma senza esito». Sarà Paolo Galati, fratello di Michele, brigatista detenuto a indicare alcuni covi. Quando Volinia – che aveva guidato l’auto con Dozier prigioniero da Verona a Padova - viene trovato assieme ad un’amica si dichiara subito prigioniero politico. Da lì parte l’azione per la liberazione. Michele Galati è morto alcuni anni fa a Verona: oltre al rapimento Dozier, aveva partecipato ai due omicidi nel 1980 a Mestre, il primo di Sergio Gori, vicedirettore del Petrolchimico di Porto Marghera, e poi di Alfredo Albanese, commissario della Digos di Venezia. Galati con le sue dichiarazioni nel 1982 fece arrestare una quarantina di militanti. E per primo svelò le trame estere del terrorismo al giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni che emise un mandato di cattura contro il palestinese Yasser Arafat capo dell’OLP.

 

Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio, 11:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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