PADOVA - Un appartamento signorile a Montagnana e un complesso immobiliare che comprende otto terreni dove operava la sua ditta agricola fondata nel 2018. Ma anche una villa di lusso, auto, conti correnti e sette società operanti nei settori immobiliare e del commercio all'ingrosso di materie plastiche. Erano questi i beni, per un valore totale di 9 milioni di euro, di proprietà di un'imprenditrice 65enne, Patrizia Gianferrari, di origini sassolesi e residente a Castellarano in provincia di Reggio, confiscati dalla guardia di finanza di Bologna. Beni sparsi tra le province di Padova, Milano, Rimini, Modena e Reggio Emilia.
Il provvedimento di confisca, eseguito ieri mattina dai finanzieri del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata e disposto dal Tribunale di Reggio Emilia, rappresenta l'epilogo di articolate e complesse indagini condotte, ai sensi del Codice Antimafia, sotto la direzione della Procura reggiana.
I PRECEDENTI
La donna è attualmente agli arresti domiciliari e nel suo casellario ha numerosi precedenti penali e plurime sentenze definitive di condanna per reati di natura economico-finanziaria, contro il patrimonio, l'economia e la fede pubblica commessi in varie regioni del centro-nord Italia.
NEL PADOVANO
Il nome della Gianferrari spunta nelle cronache di Montagnana ancora nel 2001 durante il processo svoltosi nel tribunale civile di Padova per bancarotta fraudolenta a carico di un commerciante di bestiame della città murata e di suo figlio. La donna era amministratore legale assieme ai due montagnanesi della società Benmar srl dichiarata fallita il 10 giugno 1998 dai giudici padovani.
I REATI
La Gianferrari è attualmente agli arresti domiciliari presso una casa di cura in provincia di Como e dal 1989, ovvero negli ultimi 32 anni, è stata ininterrottamente coinvolta in diverse vicende penali, riportando numerose condanne definitive per reati di natura economico-finanziaria, contro il patrimonio, l'economia e la fede pubblica (estorsione, minaccia, calunnia, falso ideologico e materiale, evasione ed elusione fiscale, truffa, bancarotta fraudolenta, anche con il ricorso a fatture per operazioni inesistenti), commessi anche in forma associativa tra l'Emilia-Romagna, la Lombardia, il Veneto, la Toscana e l'Umbria.
L'ORDINANZA
Ad incastrare Gianferrari, di cui gli inquirenti evidenziano la spiccata pericolosità sociale, è stata soprattutto - come si legge nell'ordinanza - la marcata sproporzione tra i redditi, pressoché inesistenti, formalmente riconducibili alla donna e al suo nucleo familiare e il patrimonio immobiliare nella sua effettiva disponibilità, composto da beni di cui l'interessata aveva di fatto la piena disponibilità per interposte persone, fisiche e giuridiche.
Oltre ai precedenti della donna, dagli accertamenti è emerso che «l'accumulazione del nucleo familiare della Gianferrari non trova scrivono i giudici nel decreto riscontro o giustificazione coi redditi dichiarati, nemmeno sempre sufficienti al sostentamento di una famiglia normale. Il tenore di vita della famiglia della Gianferrari non consente nel modo più assoluto di considerare conformi a quanto dichiarato i redditi di cui i relativi membri hanno avuto effettiva disponibilità. In tale elemento di sproporzione tra il patrimonio disponibile e il reddito dichiarato risiede il maggiore indizio della provenienza illecita di tutti i beni».
In particolare, si ricorda nelle disposizioni del giudice, la Gianferrari fu arrestata nel 2013 sempre dalla Guardia di finanza, ma in quel caso di Ferrara, e condannata nel 2018 in primo grado a sei anni e otto mesi di carcere, in quanto «coinvolta in indagini per contrabbando, emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte assieme, tra gli altri, a Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito».