Giornata della Memoria, la prima pietra d'inciampo in città dedicata a Luigia Modena Colorni

Venerdì 28 Gennaio 2022 di Nicola Astolfi
La Pietra d'inciampo che ricorda Luigia Modena Colorni

ROVIGO - Solo 15 dei 45 deportati da Rovigo e provincia si salvarono dai campi di concentramento. E militari come Luigi Boraso e Iso Moretto, fatti prigionieri dopo l’armistizio e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra, furono caricati su carri bestiame e internati dal settembre del 1943 fino al 1. aprile del 1945. Luigia Modena Colorni, ebrea veneziana rodigina d’adozione, non sopravvisse. Fu tra le oltre 6 milioni di vittime della prima e unica «eliminazione totale di una specie umana, in qualsiasi luogo si trovasse», ha ricordato ieri, nelle celebrazioni della Giornata della memoria, Adolfo Locci.

Il rabbino capo della Comunità ebraica di Padova, accanto al vescovo Pierantonio Pavanello e alle autorità civili, militari e di sicurezza pubblica, è intervenuto nella sala consiliare di palazzo Celio, spiegando perché la Shoah è unica nella storia dell’uomo, per la «sistematica e organizzata messa a disposizione di scienza e tecnologia per cancellare qualcuno dall’umanità», a proposito della “soluzione finale della questione ebraica” che prese la Germania nazista e che fu mutuata dalle politiche razziali dei Paesi membri dell’Asse.

Da ieri anche a Rovigo a ricordare i deportati e lo sterminio del popolo ebraico c’è la pietra d’inciampo posata a cura dell’associazione culturale Teradamar, che commemora Luigia Modena ColorniAbitava in via Remigio Piva 16 ed era stata battezzata. Per questo, almeno inizialmente, non subì le persecuzioni previste dalle leggi razziali, che si inasprirono in Polesine specie tra il giugno e l’ottobre del 1944, quando Luigia Modena Colorni fu arrestata, il 28 luglio, deportata a Fossoli, nel Modenese, e poi al campo di stermino di Auschwitz, dove morì.

Anche l’omaggio alla lapide, all’ingresso di piazzetta Annonaria, che ricorda come la comunità ebraica fosse parte integrante della città, e prima a palazzo Celio la consegna a cura della Prefettura delle medaglie d’onore agli eredi di Luigi Boraso e Iso Moretto, rispettivamente la figlia Vanna e il figlio Leopoldo, hanno celebrato una ricorrenza che diventa vitale solo con la presenza contemporanea di due elementi: il sentimento e la prosecuzione, ha detto il rabbino Locci, spiegando che affinché «la memoria possa essere feconda, dobbiamo partecipare con il sentimento, che ci fa vivere nel presente l’esperienza del passato. E se a questo aggiungiamo la prosecuzione, creiamo una catena di trasmissione fondamentale per l’umanità».

Proprio così, ha concluso il rabbino capo della Comunità ebraica di Padova, si realizza «l’unica modalità di perpetuare la memoria: sentire quello che è stato fatto agli altri come se fosse stato fatto a noi». Le medaglie d’onore, coniate dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, vengono inviate dopo l’adozione di un decreto del presidente della Repubblica sulla base di un’istruttoria che coinvolge rappresentanti dei ministeri di Difesa, Affari esteri, Interno ed Economia, dell’Associazione nazionale reduci da prigionia, internamento e guerra di liberazione (Anrp) e dell’Associazione nazionale ex internati (Anei), nonché da un rappresentante dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).

Alla consegna ai figli Vanna Boraso e Leopoldo Moretto, accanto al prefetto Clemente Di Nuzzo c’erano anche i sindaci Luigi Viaro e Maura Veronese, che con Iso Moretto e la sua famiglia aveva condiviso, il 1. febbraio di due anni fa, il traguardo dei 100 anni. Una conquista che malgrado le esperienze di guerra e da internato, costretto a lavorare per il Reich allo Stammlager XI-B vicino al paese di Fallingbostel e poi nei campi di Wassendorf e Ninangen, Moretto aveva raggiunto mostrando, con lo spirito del bersagliere, che nonostante tutto, la gioia di vivere non invecchia.
 

Ultimo aggiornamento: 07:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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