«Mia figlia, uccisa senza un perché
Aspetto una risposta da 26 anni»

Domenica 2 Febbraio 2014
DRAMMA - La tomba di Annalaura Pedron
3

PORDENONE - Il 2 febbraio 1988 Annalaura Pedron fu strangolata in un appartamento di via Colvera.

Il caso fu riaperto nel 2008 grazie al test del Dna: sott’accusa David Rosset, processato dal Tribunale dei minori come se avesse 14 anni. Nel 2011 il reato è stato dichiarato prescritto. E in Appello Rosset è stato ritenuto non imputabile. «Quale conclusione peggiore?», afferma oggi - nella lunga lettera che pubblichiamo di seguito - la madre di Annalaura, Paola Zamuner, contestando le regole del sistema giudiziario minorile.

Ventisei anni. Sono tanti? Mi sforzo di scrivere per informare, per affrontare ancora una volta l’urto doloroso con la realtà, il vuoto giuridico attorno alla morte di Annalaura, tuttora senza un senso. E se fosse stata vostra figlia? Mi sono trovata molto spesso a dover rispondere a domande incredule, talvolta umilianti e faticose da affrontare. Dal di fuori non si capisce, e non si può capire, l’affannoso protrarsi di accadimenti sempre uguali, a fronte della medesima storia e di informazioni non sufficienti a chiarire o fuorvianti rispetto alla realtà dei fatti. Purtroppo la morte di Annalaura non è solo un fatto di cronaca, ma un garbuglio giuridico che si fa scudo dietro regole, in questo caso anacronistiche e temporalmente contradditorie, di situazioni mai accadute prima e tantomeno risolvibili con le leggi vigenti di un Tribunale dei minori.

Un caso chiuso prima ancora che fosse iniziato, secondo l’avvocatura regolare, e quindi di scarso interesse, essendo scaduto già nelle premesse, nonostante si tratti di un assassinio. Disinteresse soprattutto a cercare una svolta legislativa, una soluzione di buon senso, affinché non possa più accadere che un adulto venga processato osservando regole che esistono per proteggere un minore: per tutelarne la riservatezza il processo penale minorile si svolge a porte chiuse; poiché nuocerebbe al minore, la legislazione vieta la costituzione di parte civile a carico di imputati minorenni. Il processo si svolgeva senza quel minore che oramai non c’era più, in contumacia per diritto. E noi? “Ospiti” senza diritti nel processo a un imputato fantasma.

Ventisei anni fa! Sono tanti per chiedere alla Giustizia di fare il proprio dovere? O non ci spetta di diritto una risposta? Servono, io credo, alternative prese di coscienza. Può una morte orribile restare inutilmente oscura? In perenne ricerca, mi ritrovo, sola, a dibattermi nei cavilli fumosi della giustizia, che nel caso si è dimostrata assente ed indifferente, una non giustizia. Per noi, per mia figlia, diritto alcuno: la partecipazione in aula è stata per noi un compromesso raggiunto, una concessione. Non tutelati, non preservati, senza difesa, esposti, in ogni senso, anche materiale, a decisioni unilaterali assai discutibili, ho assistito, per contro, a una stanchezza, a una apatia procedurale che ho visto sconfinare nell’indifferenza, che ci ha sconfortato e ripetutamente ci ha sorpreso.

Oggi ho smesso di chiedermi chi ha ucciso Annalaura, ma continuo a chiedermi perché sia stata uccisa. Un processo e un appello inconcludenti non hanno saputo dare risposta. Nessuna luce significativa sul delitto. Non si sono peritati i signori giudici di andare oltre le norme, di cercare la verità, totalmente dimentichi che dietro la morte di Annalaura c’è, adulto o minorenne, un assassino. Nessuna curiosità “legale”, nessun interesse a far chiarezza veramente sulla vicenda: questo, tutto sommato, è il senso e il risultato del processo. Il primo atto si è concluso con la motivazione subdola della prescrizione; l’appello si conclude rimettendo all’ordine la supposta e altrimenti in precedenza smentita incapacità di intendere e di volere dell’imputato, che però per un minore si limita a “non maturo” all’epoca dei fatti. Quale conclusione peggiore?

Questa è la conseguenza di essere dovuti sottostare a un tribunale minorile, le cui regole diventate astruse ed anacronistiche quando non si sta tratti più di un minore, abbisognano quantomeno di una revisione e di un aggiornamento se chiamate a far luce su un capitale umano che ci riguarda tutti. Ora non ho più parole contro il silenzio, non suoni sufficienti ad alzare il velo sulla sordità altrui. Vorrei, per mia figlia, poter scavalcare questa forma atroce di omertà legalizzata degli accadimenti giudiziari, che conducono solo al seppellimento di un assassinio ancora disconosciuto, anche se riconosciuto come “efferato”, dimenticato, costretto all’oblio nella ragione e nelle cause.

Il tempo di Annalaura si è fermato quel giorno, mentre la sua voglia di vita, ancora tutta da scoprire, è stata invece stroncata all’alba. Inutilmente, per tutti questi anni, ho scritto, ho informato, ho sperato, ho tentato di scuotere gli animi e le coscienze. Non credo oramai che chi ha tolto la vita possa espiare la sua colpa e io stessa possa quietare finalmente l’animo. Non esigo, sia chiaro, e tenuto conto delle circostanze, non so quali castighi. Mi sarebbe bastato un ravvedimento, un mea culpa sincero che mi commuovesse e mi liberasse dall’angoscia; che mi permettesse di porre fine a questa storia di dolore acuto e perenne.

Annalaura aveva 21 anni. La sua morte ingiusta e precoce fu feroce nel suo accadere e nel suo divenire; ora non è nemmeno un argomento. Vorrei si sapesse, vorrei che qualcuno si preoccupasse di metter mano fra i meandri di detta “giustizia”: un buco nero in cui ti trovi immerso, impotente. Ho letto: «Più che l’efferatezza di certi delitti, mi lascia sgomento il dolore degli innocenti, i figli che perdono le madri, i genitori che perdono i figli e le persone semplici e con pochi mezzi economici che fanno fatica a trovare aiuto nei meandri della giustizia italiana», (Gianluigi Nuzzi).

Noi siamo soli dunque. Faccio appello al presidente della Repubblica, al ministero della Giustizia, alla Magistratura, all’Ordine degli Avvocati, a tutti coloro che la Giustizia la praticano e la amministrano, affinché prendano coscienza e affrontino quanto prima, questo problema e porgano interesse e rimedio alle storture e ai vuoti legislativi riguardanti il Tribunale dei minori.

Ventisei anni sono tanti se li rapportiamo alla temporalità che ci riguarda, al tempo che incalza, alla velocità con cui oggigiorno ogni cosa si svolge e poi subito decade. Sono tanti, se non sono serviti a nulla. Ma il nulla è assoluto a fronte di una vita perduta e rarefatto al rispetto di una morte: cambia il rapporto e ci appare un lembo di eternità, e il dolore è senza fine. Una figlia è figlia per sempre.

Con dolore, 2 febbraio 2014.

Paola Zamuner

Mamma di Annalaura

Ultimo aggiornamento: 14:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci