VENEZIA - Perso il bambino che aspettava e lasciata dal marito, Augusta decide di abbandonare il Trentino e cercare un proprio percorso interiore in Amazzonia, dove l’attende suor Franca, un’amica della madre, che per la delude per quel suo cristianesimo convenzionale di santini e sacramenti. Cos lascia anche quel posto e tutta la comunit indios, trovando un’ultima sponda su un’isola deserta.
Al suo terzo film (dopo i notevoli "Il vento fa il suo giro" e "L’uomo che verrà"), Giorgio Diritti conferma la sua vocazione a confrontarsi con storie e personaggi immersi in ambienti di sensibili conflittualità socio-culturali. Tuttavia questa volta non tutto funziona, a cominciare da Jasmine Trinca, già abbondantemente premiata tempo fa a Venezia e che qui non riesce nello sforzo di regalare almeno un paio di espressioni, nell’affrontare questo tormentato tragitto spirituale.
Se lo sguardo etnogeografico di Diritti riesce meglio nell’affrontare i vasti paesaggi che non i codici di comportamento sociale (pensiamo alla forza magnetica di un Herzog o alla "purezza" di Mendoza o di Rocha), il parallelo sempre più invadente con l’Italia (dove vivono mamma e nonna di Augusta e dove una giovane indios compie il percorso inverso) fatica a interagire, anche nella scena di maggior impatto (la videochiamata tra Augusta e mamma).
Ma "Un giorno devi andare" resta apprezzabile per quel desiderio poco comune del nostro cinema di uscire dall’orto di casa. E quindi è bello il campionario di sole donne che dominano un film liquido (l’acqua è presente dall’ecografia iniziale fino al grande fiume) e volto tutto alla maternità (il grande dolore iniziale) che non a caso si risolve nell’ultima scena.
Voto: ♦♦♦
Ultimo aggiornamento: 19:30
© RIPRODUZIONE RISERVATA Al suo terzo film (dopo i notevoli "Il vento fa il suo giro" e "L’uomo che verrà"), Giorgio Diritti conferma la sua vocazione a confrontarsi con storie e personaggi immersi in ambienti di sensibili conflittualità socio-culturali. Tuttavia questa volta non tutto funziona, a cominciare da Jasmine Trinca, già abbondantemente premiata tempo fa a Venezia e che qui non riesce nello sforzo di regalare almeno un paio di espressioni, nell’affrontare questo tormentato tragitto spirituale.
Se lo sguardo etnogeografico di Diritti riesce meglio nell’affrontare i vasti paesaggi che non i codici di comportamento sociale (pensiamo alla forza magnetica di un Herzog o alla "purezza" di Mendoza o di Rocha), il parallelo sempre più invadente con l’Italia (dove vivono mamma e nonna di Augusta e dove una giovane indios compie il percorso inverso) fatica a interagire, anche nella scena di maggior impatto (la videochiamata tra Augusta e mamma).
Ma "Un giorno devi andare" resta apprezzabile per quel desiderio poco comune del nostro cinema di uscire dall’orto di casa. E quindi è bello il campionario di sole donne che dominano un film liquido (l’acqua è presente dall’ecografia iniziale fino al grande fiume) e volto tutto alla maternità (il grande dolore iniziale) che non a caso si risolve nell’ultima scena.
Voto: ♦♦♦
