«Mangiavo anche la carne di serpente»: il viaggio epico di Thor Pedersen durato 10 anni

Le regole: mai tornare a casa, non prendere l'aereo e fermarsi almeno 24 ore

Giovedì 17 Agosto 2023 di Marco Ventura
«Mangiavo anche la carne di serpente»: il viaggio epico di Thor Pedersen durato 10 anni

«Mi chiamo Torbiørn Pedersen, che è un nome terribile per un viaggiatore.

Chiamatemi solo Thor. Ho già visitato un Paese su quattro prima che vedesse la luce questo progetto, "Once upon a saga". Ma ora farò sul serio, da zero a tutti». Così Thor, danese di madre finlandese, annunciava nel 2013, a 34 anni, che avrebbe compiuto il giro del mondo toccando ogni Stato, i 193 riconosciuti dall'Onu più altri dieci, 203. Ma per differenziarsi dai predecessori e diventare il nuovo Marco Polo o Ibn Battuta, si è posto 3 regole: passare almeno 24 ore in ogni Paese, non prendere mai l'aereo, e non tornare mai a casa. Si è messo in marcia verso le destinazioni più semplici, Europa e America del Nord, poi per due anni è dovuto stare a Hong Kong per il Covid, ed è rientrato un mese fa in Danimarca a bordo della nave "Milan Maersk", commosso dai colori delle acque di casa.

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«La mia mente scrive sul suo sito è sovraccarica di ricordi e impressioni. Ho quel tipo di stanchezza che il sonno non potrà curare, mi sembra di aver trascorso decenni da quando ho lasciato la Danimarca». Era partito con l'idea di spendere 20 dollari al giorno, ambasciatore nel mondo della Croce Rossa danese. Il soggiorno più lungo fino ad allora era stato in Libia ai tempi di Gheddafi. «Ero partito acerbo e insicuro, sono tornato due anni dopo con una vera esperienza di vita». Pronto al giro del mondo. In quasi dieci anni attorno al globo ha vissuto momenti bui. «Ho perso mia nonna e non sono andato al suo funerale, è morto d'infarto in bici uno dei miei amici più cari». Ha rischiato di lasciarsi con la fidanzata, Le, che lo ha raggiunto 27 volte. Poi il doppio matrimonio, il primo online durante la pandemia, l'altro di persona. L'insegnamento più grande? «Noi umani siamo molto più simili di quanto non crediamo, ma siamo svelti a vedere le differenze», confida al Guardian. «La soluzione nei momenti difficili non è necessariamente in te, viene dagli altri. Quando pensi di non avere più speranza, è perché ancora non hai incontrato la persona giusta. Puoi trovare un migliaio di porte chiuse, ce n'è sempre una aperta. Non mollare mai».

 

A TAVOLA

Il momento più bello, a parte la promessa di matrimonio con Le in una tempesta di neve in cima al Monte Kenya? «Viaggiavo sul tetto di un camion nella Repubblica del Congo, con una cinquantina di persone. Andavamo lentissimi, tanta polvere e un caldo assurdo. Quando il sole stava per tramontare una donna si è messa a battere ritmicamente sulla sua bottiglia d'acqua e a cantare, dopo un po' tutto il camion cantava. È stato bello, potente, emozionante». Un'esperienza da dimenticare? «Ai check point, già mi vedevo morto. E mi sono dovuto riprendere da una malaria cerebrale». Il cibo più gustoso? «In Perù, e una zuppa in Malesia che mi ha fatto uscire di testa». E il peggiore? «Scegliete voi. Ho mangiato serpenti, cammelli, cani, insetti diversi, pelle di mucca lattiginosa Peggio di tutti, il cervello di capra in Nigeria». Tutto diventerà un documentario, un libro, e forse un film.
 

Ultimo aggiornamento: 06:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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